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Oceani nuova frontiera economica. Ma dominata da 100 grandi multinazionali
Oceano

Il nostro pianeta visto dallo spazio appare come una grande sfera blu. Un involucro ricoperto per il 71% dagli oceani, contenente circa il 96% di tutta l’acqua disponibile e 1,34 miliardi di chilometri cubi di quella salata, continuamente rimessa in circolo dalle correnti. L’oceano è talmente vasto da essere formato da 5 bacini interconnessi: Atlantico, Pacifico, Artico, Meridionale o Antartico e Indiano. Nel suo insieme svolge diverse funzioni indispensabili per la nostra sopravvivenza e per quella del Pianeta stesso. Tra le principali il regolamento del clima e della biodiversità. Ma anche il sostentamento di milioni di persone e la mobilitazione dell’80% dei commerci mondiali. 

Oceano, la nuova frontiera economica 

L’oceano, oltre ad essere un fattore chiave per fronteggiare gran parte delle future sfide globali, è una nuova frontiera economica. L’immenso patrimonio di risorse e il potenziale economico, sociale e tecnologico che racchiude, secondo un recente report dell’OCSE (2020), hanno spinto numerose grandi società transnazionali a compiere diversi investimenti, aprendo così la strada verso un business emergente. Un’economia che non comprende solo industrie marittime, come i trasporti, la pesca, la produzione offshore di energia eolica, la biotecnologia marina, bensì anche la fornitura di beni naturali e servizi ecosistemici, quali risorse ittiche, rotte di navigazione e trasporto marittimo, assorbimento di CO2 e di altri elementi. 

La dimensione globale dell’economia degli oceani, rivela il rapporto OCSE, se misurata in termini di contributo delle industrie marittime e oceaniche all’output economico e all’occupazione, è alquanto significativa. Secondo stime dell’OECD’s Ocean Economy Database, nel 2010 il prodotto economico dell’oceano è stato pari a 1,5 miliardi di dollari statunitensi, ossia circa il 2,5% del valore aggiunto lordo mondiale. 

Oceano, i rischi dello sfruttamento

Tuttavia, se da un lato c’è un’economia sempre più ampia, dall’altro la rotta dello sviluppo sostenibile dei grandi mari, si trova in una fase in divenire. I rischi associati all’eccessivo sfruttamento delle risorse marittime e oceaniche, secondo quanto emerge dal report, sono ancora molteplici. Un perpetuo approccio poco responsabile di sviluppo economico potrebbe comportare: riduzione della biodiversità, impatto negativo dei cambiamenti climatici, maggiori vulnerabilità delle riserve ittiche e progressivo degrado degli habitat e degli ecosistemi. 

Oceano, chi "governa" i nostri mari

Ma c'è chi si "appropria" di tutto ciò e ne "governa" le dinamiche. A capo di questa grande impresa, secondo lo studio condotto dalla Duke Nicholas Institute dell’Università Duke (USA) e dallo Stockholm Resilience Center dell’Università di Stoccolma e pubblicato sulla rivista Science Advances, ci sarebbero infatti le "Ocean 100".

Un gruppo di società transazionali, come la compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco e la brasiliana Petrobras, responsabili di questo grande business. A livello di numeri–solo nel 2018– le Ocean 100 hanno monetizzato il 60% dei 1,9 triliardi di dollari ottenuti dalle principali industrie legate all’economia dei mari. Se il gruppo di aziende fosse un singolo Stato, "rappresenterebbe la sedicesima economia mondiale", con un Pil equivalente a quello dell'intero Messico. 

Oceano, il passo verso la sostenibilità

Ma la scoperta dei "responsabili" e la messa in luce delle dinamiche, ha generato positive considerazioni tra gli esperti. Per il principale autore dello studio, John Virdini, “ora che sappiamo chi sono alcuni dei maggiori beneficiari dell'economia oceanica, possiamo migliorare nella sostenibilità e nella gestione degli oceani”. Sulla stessa scia anche Henrik Österblom, direttore scientifico dello Stockholm Resilience Center, "i dirigenti si trovano in una posizione unica per esercitare una leadership globale che sia quanto più sostenibile– e aggiunge– il fatto che queste società abbiano sede in un piccolo numero di paesi dimostra che le azioni di alcuni governi potrebbero cambiare in modo rapido l’interazione con il settore dell’economia dei grandi mari”. 

Una buona sinergia quindi tra i vertici delle grandi imprese transazionali e i governi locali potrebbe orientare l'economia dei mari verso criteri più sostenibili. Tenendo a mente che– come ricorda Vermeer, direttore esecutivo del Center for Energy, Development and the Global Environment (EDGE) presso la Duke's Fuqua School of Business– gli oceani saranno sempre più centrali per l'economia globale nel ventunesimo secolo.

In tal senso occorre perseguire sfide economiche in un'ottica lungimirante, in primis da parte di chi ne “governa” gli sviluppi e i processi. Questo piccolo gruppo di aziende sarà al centro di una grande “sfida globale”, tutt'altro che semplice. Che dovrà essere in grado di proporre azioni concrete,  nella direzione di una "una sostenibilità ambientale e socio-economica comune". 

 

 

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