Lavoro

Morti bianche, incubo senza fine: "Luana D'Orazio? Notizia che non fa notizia"

di Fabrizio Manganiello*

La morte di Luana D’Orazio è una notizia che non fa notizia. Le prime pagine dei quotidiani nazionali e non sono tutte per la sua terribile, insopportabile fine e se ne nutrono come un cancro che si divora solo perché aveva vent’anni e una vita tutta da vivere, vita resa ancora più importante e preziosa dalla nascita di un figlio di cui prendersi cura per farlo crescere in un mondo che retoricamente si spera sempre migliore per sé stessi e per chi verrà dopo di noi.

“Muore giovane chi è caro agli dei” è una pietosa bugia che trasciniamo ormai stancamente da più di duemila anni fingendo di credere che abbia qualche minima capacità lenitiva di un dolore tanto, troppo forte da non permettere alla ragione di dare spiegazioni plausibili ad una perdita che annichilisce.

Eppure dovrebbero esserci delle ragioni perché la tragedia di Luana faccia notizia non soltanto oggi, domani e, forse, anche dopodomani per poi scomparire e andare a prendere posto insieme alle altre morti e agli infortuni sul luogo di lavoro che si sono verificati quotidianamente e non hanno trovato una battuta d’arresto nemmeno durante i ritmi rallentati impostici malvolentieri dalla pandemia. Perché lo strazio che accumuna tutti noi nel leggere sui giornali e ascoltare sui notiziari della sua atroce fine merita non soltanto vero rispetto ma anche una presa di posizione politica per la soluzione del problema delle morti sul luogo di lavoro che, passano gli anni, passano i governi di qualsivoglia colore e rimangono sempre lì, migliorando mai, peggiorando sempre.

Oggi assistiamo alle forze politiche che, tutte insieme, si costernano, s’indignano, s’impegnano e finiranno per gettare la spugna con gran dignità, per parafrasare le parole di una celebre canzone, ma non sarebbe male se finalmente si intraprendesse un cammino legislativo che portasse ad una legislazione sugli infortuni sul lavoro completa perché assistita non soltanto da buoni princìpi ma anche da risorse finanziarie capaci di realizzare quei principi in ogni luogo di lavoro, perché è inammissibile che si esca al mattino per andare a lavorare e non si faccia più ritorno a casa.

Un ritorno a casa negato non da una fatalità, dall’imponderabile che fa parte della vita, ma dall’assenza di sicurezza demolita per ragioni di profitto o, peggio, di incuria.

I giornali, i notiziari non sono il luogo per imbastire processi e procedere velocemente a condanne per soddisfare una immediatamente malsana richiesta di giustizia, per quella c’è una magistratura inquirente che deve essere lasciata lavorare senza pressioni mediatiche per raccogliere elementi di prova che verranno valutati senza altrettante pressioni in un’aula di giustizia, i giornali e i notiziari dovrebbero spingere perché si arrivi quanto prima ad avere la giuste garanzie perché ogni lavoro sia svolto dignitosamente in un luogo sicuro.

«Trovo assurdo che nel terzo millennio ancora non si sia trovata una soluzione efficace alle morti sui luoghi di lavoro e una risposta concreta al diritto di ogni individuo di lavorare in sicurezza» dice Gabriella Scaduto presidente di ReDiPsi – Reti di Psicologi per i Diritti Umani

Sì è assurdo ma, forse, se una volta terminato il momento delle lacrime si cominciasse ad agire in silenzio, in sordina, con i tempi che sono necessari ma con la certezza di arrivare veramente al traguardo di non dover più leggere articoli che si occupano della morte di Luana e di ogni altra morte bianca che di bianco ha ben poco ma è anzi sporcata dall’inefficienza, allora saremmo sicuri di aver portato rispetto alla sua vita e a tutte le altre vite che i luoghi di lavoro si sono ingiustamente portati via. E quella sì sarebbe finalmente la notizia.

*Consulente Legale ReDiPsi – Reti di psicologi per i Diritti Umani