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Abbiamo bisogno degli intellettuali? Etica e responsabilità ancore di salvezza

Leggendo il testo di Franco Brevini si ha la netta consapevolezza, senza illusioni né delusioni, che attualmente non sussiste nemmeno tale abitudine: non si pensa e non si critica, si conosce per via di un “click”. L’incontro è sui social. Non si avverte però un tono tragico, appesantirebbe la situazione che già di per sé è drammatica. Pertanto, Brevini si limita – si fa per dire – a illustrare lo scenario e a proporre una possibile via di fuga. Vedremo. 

Si appalesano le teorie politiche dei classici: Platone, Machiavelli, Guicciardini, Rousseau, Kant. L’Autore dialoga anche con Ortega y Gasset, Le Bon, Arendt con la quale accenna alla “desocializzazione”, ovvero “fuga dal mondo all’io”. Uguaglianza: massificazione, individualismo e consumificio: “Il consumo mi rifonda come persona, io sono ciò che consumo, io sono protagonista dei miei consumi, in essi mi rispecchio e mi riconosco, e i templi del consumo sono i luoghi in cui officiare questa nuova laica religione dell’io”.

Inoltre, Brevini indugia sul tema degli intellettuali in crisi, dei complottisti e delle post-verità fino a compiere una disamina sulla scuola e la sua “disfatta”. In tanti hanno affrontato il declino degli insegnanti, la crisi della scuola, e anche il letterato Franco Brevini ha opportunamente riservato un capitolo alla figura del magister che oggi non è più magis, “non costituisce più un riferimento fondamentale e fiduciario nel mondo della formazione. Anche l’antica alleanza educativa tra insegnanti e genitori è saltata, sostituita dal rapporto familisticamente protettivo dei genitori con la prole”.

E tale esperienza è un fatto di una gravità sconcertante per i bambini, i ragazzi che crescono secondo un rapporto fiduciario errato privi di libertà e responsabilità. Generazioni future “acefale”. A ciò si aggiunge la “rivoluzione digitale”, analizzata dai grandi pensatori quali ad esempio Bodei e sugli effetti di intelligenza artificiale, macchine, computer, smartphone si dovrebbe non solo discutere ma avere la prontezza di educare nel modo appropriato i nativi digitali nell’utilizzo: il solo modo è quello di educare al pensiero critico e all’azione responsabile.

Per tali ragioni, dopo aver attrezzato il lettore di un quadro complessivo della realtà odierna, con un rapido planare e con l’aiuto di classici e studiosi contemporanei a confronto, l’Autore del volume Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? prima che la società termini il suo ossigeno invita alla riflessione e guida allo studio di Weber, Jonas, Arendt, affinché gli educatori, i maestri, gli intellettuali, le istituzioni, invero tutti gli organi competenti si muovano, agiscano in modo responsabile permettendo all’etica tanto bistrattata dai più di rinsavire. 

“Responsabilità e giudizio” (Arendt). La politica e l’educazione possono cambiare il mondo. “Educare è un atto politico”, ma farlo in modo responsabile è un dovere: è un imperativo morale. Inoppugnabile e improrogabile. “Responsabilità significa essenzialmente sapere che creiamo un esempio che gli altri seguiranno; è così che si cambia il mondo”, se i modelli da seguire sono di converso effimeri, oggettivati, che cavalcano l’onda del guadagno, di sicuro il mondo del quale si farà parte sarà uno spazio caotico, anomalo e anemico.

L’esortazione - riprendendo Ricœur, come anche Simmel, o Buber, - è quella innanzitutto di “evitare la deperibilità del vivere sociale” facendosi carico delle relazioni, dell’io e del noi, nella “pluralità” puntando sull’etica e dunque, sulla responsabilità. Già.

Franco Brevini nella conclusione del saggio in questione recuperando un rapporto libero non dubita né permette che a qualcuno affiori un dubbio sull’urgenza di insegnare ed educare a tali princìpi ancora troppo incerti: libertà e responsabilità, nascosti sotto le coltri fitte della superficialità dell’ignoranza, dell’arroganza, della fama; perciò, da buon maestro sembrerebbe pronunciare le stesse parole di Virgilio con Dante: alzati! “ché, seggendo in piuma, / in fama non si vien, né sotto coltre; / sanza la qual chi sua vita consuma, / cotal vestigio in terra di sé lascia / qual fummo in aere e in acqua la schiuma. /…/. Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia” (Dante).   
    
 

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