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La malaintesa (di Yolaine Destremau): vite sospese nel dolore. La recensione

La malaintesa, di Yolaine Destremau. La recensione

“La malaintesa”, di Yolaine Destremau, tradotto in lingua italiana da Marta Giusti, edito da Barta: una storia come tante, una violenza come troppe, che a pensar che esistano uomini o anche donne portatori di malvagità è fuorviante. Non si tratta infatti di un “umano, troppo umano”, in tali casi non si arriva nemmeno all’umanità, si resta intrappolati in uno stadio primitivo abissale, sconosciuto, che abita nell’umano e che se non controllato emerge brutalmente.

Yolaine Destremau, scrittrice, ha trascorso l’infanzia tra Africa e Argentina, oggi vive fra Parigi e Lucca e grazie alla traduzione di Marta Giusti leggiamo il suo romanzo “La malaintesa”. Una scrittura linda. Uno stile elegante, asciutto, puntuale. A ogni punto una sosta. Una dolorosa riflessione. È la storia di una donna in carriera, un’avvocata, un matrimonio, una famiglia. Tutto apparentemente perfetto, ma sin dalle prime conversazioni sulla scelta del nome del nascituro, si potrebbe intuire un’esagerata rabbia. La rabbia se non gestita, trasformata, distrugge, logora se stessi e chi è accanto. Abel si infuria con Cécilia. Arrivano le scuse. Tutto passa. Forse. È un romanzo intenso, denso di emozioni. Vite sospese nel dolore, nella solitudine: «In ogni oggetto, in ogni libro, traspariva quella felicità che costruivamo insieme, sin dal giorno del nostro incontro. Tuttavia, anche se lo scenario era immutato, qualcosa era cambiato. Mi guardavo intorno, e l’appartamento sembrava appartenere al passato, a un altro capitolo della nostra vita. Come se non lo riconoscessi». Yolaine Destremau narra con lucidità disarmante la vita di Cécilia, come se fosse la sua. La racconta, la vive con lei. Accompagna silenziosamente la giovane donna. Leggiamo: «Ho capito dopo che gli piaceva che fossi alla sua mercé», che pensiero a effetto quello di Cécilia scritto da Yolaine, un pensiero che appare un nodo gordiano. Soffocante. Inverosimilmente vero. Occorre prestare attenzione ai dialoghi dei due coniugi. Comuni sì, ma anche le tragedie accomunano, come le salvezze quando si ha la forza e l’aiuto di poterle schivare. Gran cosa sarebbe evitarle prima di conoscerle e subirle. È difficile. A volte sembra complicato sfuggire a simili tragedie: si trascurano determinate parole, altre volte serpeggiano i sensi di colpa, altre ancora prevale il ‘presunto’ amore che amore non è, soprattutto quando l’uno intende prevalere sull’altro, dominarlo.

“Fai attenzione!”, dice il medico alla paziente, parole che riecheggiano come un campanello d’allarme in tutto il romanzo. Si sente forte: “Fai attenzione!!!”. Abbi cura di te stessa. Mentre Abel le sussurra: «Sei la mia donna, sei mia». Questo accade quando si confonde l’amore con il possesso. E quando prevalgono le proprie frustrazioni. I capitoli sono scanditi lentamente, come se ognuno rappresentasse una scena a sé, una stanza, parimenti cresce nel grembo di Cécilia il loro figlio, poi nuovamente un altro come se dovessero configurare i mattoni di una casa che oramai non esiste più. Il vuoto. Le parole raggelano: «Ero consapevole che mi stavo piegando a tutti i desideri di un uomo che pensavo di amare ancora solo per evitare le sue scenate» (p. 89). Emerge il conflitto di una donna che pian piano acquista coscienza: il marito è diventato il suo carnefice, ma gli offre delle possibilità, forse è normale, forse cambierà. Il tempo scorre. Il dolore acuisce. L’idea di scappare. Ma la violenza è più forte. “La malaintesa” di Yolaine Destremau è una testimonianza che si può e si deve essere libere, che «Lui non ha potere, è solo nella tua testa. E avendone paura è lui che vince. Non dimenticare mai che sei libera». Amore e libertà non sono contraddizioni, non sono in conflitto, caratterizzano la dualità che appartiene a ciascun essere umano capace di amare e rispettare la propria e l’altrui libertà.

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