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La notte dei bambini di Maristella Lippolis. La recensione

La notte dei bambini, una storia ambientata nel 2070 in una Roma “irriconoscibile e distrutta da guerre regionali, epidemie e cambiamenti climatici”

Da un titolo evocativo e una copertina avvolta da fiamme altisonanti che sembrano “lingue rossastre che squarciano le ombre”: “La notte dei bambini”, di Maristella Lippolis, per i tipi di Vallecchi Firenze il lettore si aspetta grandi cose. Un romanzo che non delude né illude seppure parla di un futuro avveniristico, surreale. E stupisce l’autrice con una storia ambientata nel 2070 in una Roma “irriconoscibile e distrutta da guerre regionali, epidemie e cambiamenti climatici”, dal nome “Tauersiti”. Qui abilmente Lippolis intreccia i molteplici accadimenti che avvengono a Tauersiti, una città caratterizzata dalla Spianata dove vivono i bambini ed emergono le figure femminili creatrici e creative tra le Torri abitate dalle caste privilegiate che detengono il potere. Affiorano nell’immediato le due forze oppositive: maschile e femminile che caratterizzano la cultura occidentale, mentre in quella orientale non vi né opposizione né supremazia ma collaborazione e unità. E già qui occorre una riflessione. Maristella Lippolis con la fantasia immagina, prova a comprendere con un’importante capacità intuitiva come potrà essere il futuro: non di certo roseo se continua a primeggiare un potere maschile fondato sull’uso e consumo di un dominio logorante che pregiudica le uguaglianze, la libertà, favorendo uno smodato sfruttamento del pianeta. La speranza ricade sulla donna, l’antica dea Madre che può inventarsi una nuova vita e cambiare il mondo.

“La notte dei bambini” si dipana assumendo man mano forme differenti e dando la possibilità di riconoscere non semplicemente il reale o l’irreale ma la terza via: il possibile

Le storie si susseguono piacevolmente con descrizioni audaci che lasciano spazio all’immaginazione in compagnia di paesaggi invisibili ma non al cuore. D’altronde, cosa sarebbe l’umano privo d’immaginazione?  Così “Tauersiti si ergeva in tutta la minacciosa potenza: montagne di pietra scura che chiudevano l’orizzonte da ogni lato, così che da qualunque parte si volgesse lo sguardo non si vedeva null’altro che le torri contro le quali il vento Kurgan si infrangeva e tornava indietro ruggendo con accresciuta violenza” (p. 83). Dominante la fenomenologia del luogo che identifica un “dentro” e un “fuori” in uno spazio ben delimitato e confinante di vite che potrebbero condurre a delle metamorfosi. “La notte dei bambini” si dipana assumendo man mano forme differenti e dando la possibilità di riconoscere non semplicemente il reale o l’irreale ma la terza via: il possibile. È un romanzo che racconta la vita tra il femminile e il maschile, gli adulti e i bambini. È per tutti. Una lettura non infausta ma ricca di elementi abilmente intrecciati dall’Autrice e facilmente comprensibili. La fantasia primeggia e incanta dietro a una consolante previsione con la quale Lippolis si augura una nuova nascita, un nuovo inizio.      Procedendo nelle pagine gli occhi sostano “nel cerchio degli uomini”, la sezione mediana del libro. Non riposano, bensì invitano a meditare su ciò che Remo Bodei definisce “pensieri ciechi” che sorgono negli individui che “pur vedendo non vedono”, sono diventati manifestamente ciechi. Non pensano in modo critico e non sono in grado di agire responsabilmente: l’uomo contemporaneo vive in una “democrazia del consumatore” (M. Cacciari), nell’ambito della quale si preoccupa soltanto di ‘consumare’ dominato dalle tecnologie. In definitiva, procedendo al di là di una lettura orizzontale e di superficie che comunque è di beneficio, si può trasversalmente cogliere le problematiche che attanagliano la società contemporanea tratteggiata da Maristella Lippolis con le sue ombre e anche con le sue possibili luci.  

“La notte dei bambini” accende un faro sulla funzione femminile e sui bambini quali protagonisti di un futuro che non attende altro che cominciare e così, “la memoria fluttua tra passato e presente, va e viene come vuole. Per questo ho bisogno di fare in fretta, devo vedere la venditrice di storie prima possibile” (p. 156). Eh sì, c’è fretta, “non possiamo dormire di questi tempi”: c’è un presente, si ricorda il passato, si attende il futuro e per cogliere il tutto e vivere il tempo l’essere umano deve abbracciare ogni tempo e costruire evitando di restare impantanato in un presentificio. Non può persistere in una condizione di passività: senza visioni né progetti. L’umanità non potrà progredire non avendo coscienza di un probabile futuro e soprattutto non riuscirà a vedere la bellezza, a crearla.  E allora con la speranza alimentata da occhi nuovi e “stelle che si accendono” Lippolis ci conduce per mano verso una nuova possibile “Utopia”.                                          

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