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Maria Corti, Ombre dal Fondo: un libro politico, una filosofia dell'esistenza

Ombre dal Fondo, Maria Corti per Einaudi. Recensione

Non saprei dire se si tratti di coincidenze, di incontri di nomi, parole, storie. Così fra le mani: “Ombre dal Fondo” di Maria Corti, edito da Einaudi. Si affaccia un mondo di narrazioni che intrecciano gli studi, i ricordi di una illustre donna di cultura, “un’intellettuale poliedrica: storica della lingua italiana, semiologa, critica militante, animatrice di riviste, consulente editoriale, professoressa amatissima, scrittrice quando la scrittura creativa all’interno del mondo accademico era guardata con sospetto, se non con irrisione”, questa la descrizione di Mauro Bersani contenuta nella prefazione al libro.

Un’intellettuale che ha saputo abbracciare modernità e contemporaneità, passato e presente, ha unito Nord e Sud, ha compreso le sensibilità con acume come la pubblicazione della silloge del salentino Salvatore Toma “Il canzoniere della morte”. Ha difeso le giuste cause senza preoccuparsi di ciò che ne sarebbe scaturito. In definitiva, Maria Corti.

“Ombre dal Fondo” trasuda di luci e ombre, di storia, di poesia, di umanità che emergono allo scoperto dagli abissi di anime. Qui Corti ha raccolto le carte del Fondo dell’Università di Pavia, dove ha avuto un incarico di “Storia della lingua italiana” nel 1955, che hanno riguardato poi il «Fondo manoscritti» di numerosi scrittori, studiosi, poeti come Montale, alcune opere peraltro erano state donate dalla stessa Corti dopo lunghi anni di inciampi burocratici. Correva l’anno 1968.

Questo libro in particolare disvela la magia di un mondo che è stato, testimonianza di dialogo e di fermento culturale, il quale traspare da ciò che Corti traccia talvolta con acre nostalgia. Leggiamo: «Donde il desiderio di tornare indietro al tempo della sua nascita, quando vi comparivano a lavorare i primi giovani dell’Università ed erano vivi scrittori che oggi non ci sono più. Con gli anni un’intera generazione di frequentatori è passata e scomparsa» (p. 33).

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In tale nucleo narrativo è evidente ciò che si può comprendere in ogni suo scritto: una filosofia dell’esistenza. Si dipanano le esistenze dei luoghi dell’anima e si rincorrono animando le sue opere che sembrano rivivere. Letterata di pregio. “Ombre dal Fondo” è ricco di vita, sebbene “le ombre” possano farci presagire l’Inferno dantesco del quale fra l’altro Corti ne ha scritto; ma a un tratto le ombre diventano corpi di luce e si infondono di anime vive attraverso le loro storie. Corti. Dante. Qui c’è di più. C’è dell’altro. C’è il vento che soffia, i camini accesi, il volo di un uccello che ci insegna – dice Corti – ad accettare ciò che viene offerto dalla vita perché del prima e del dopo non è lecito sapere. La vita umana è come quell’“uccello di Beda il Venerabile”.

Ella inoltre, racconta la nascita del Fondo, la crescita del numero dei manoscritti, la cura: “i giovani volontari e le ricercatrici chiudevano i manoscritti nei contenitori e li mettevano sottochiave in cassaforte, con precauzione e sollecitudine come fa il prete alla fine della messa quando chiude calice, patena e tutto il resto nel tabernacolo” (p. 39). Un rito. Una sacralità che si avverte perfino “in quel suono” della torretta universitaria che annunciava “una gentilezza di epoche lontane”.

Così al lettore capiterà di incontrare le “Città invisibili” di Italo Calvino e la passione dei ragazzi e delle ragazze che cominciavano a frequentare il Fondo. Nel 1991 cambia la prospettiva: nuova sede e nuovi “viaggiatori del cielo”.

La scrittura di Maria Corti è singolare, appartiene a quelle anime eccelse in grado di rendere semplici e chiare le parole come stelle luccicanti che in cielo disegnano figure mitologiche. Il Fondo appare come un luogo magico che in qualche modo ha legami con gli “Accidenti Naturali”: non è qualcosa di compiuto, che ha un inizio e una fine, ma si muove in uno spazio e in un tempo che non viaggia all’unisono seppur cerca l’accordo.

Non è un caso che a ogni titolo del racconto compare un sottotitolo quasi a segnare una sinfonia, un corpo musicale che segue un ritmo, un timbro, un andamento che richiama il cuore della narrazione di “Ombre dal Fondo”: la ricerca. Lo studio. La cultura. L’amore per la conoscenza che Corti diffonde e infonde con la sua encomiabile passione. Sicché “i viaggiatori del cielo” si leggono seguendo un “rondò” come ad esempio quello di Mozart o di Beethoven. Mentre dal cielo si plana a terra e si raggiunge a suon di “allegretto” il “tocco giusto dello sguardo”.

E per di più, nella storia del Fondo si respira l’atmosfera non solo del luogo, Pavia, ma d’Italia, gli spostamenti, le conferenze, gli anni ‘70 tormentati, i travagli dei partiti, tutto descritto con pervicace poesia. La letteratura pullula. Ma anche la politica, i conflitti, le contraddizioni. È un libro politico. Sì. Insegna che la politica è cultura. Risveglia dai torpori del presente e fa comprendere che l’unica guerra che si vince è quella combattuta con la conoscenza, il resto è un potere fine a se stesso e come tale meschino, ridicolizzato da un’azione umana emotiva e superficiale.

Maria Corti sa “al di là di un invisibile confine”. Conosce il potere dei libri che in “Ombre dal Fondo” trasudano di vita e possiamo - noi del terzo millennio - sentire perfino le loro voci, i loro profumi, la loro inoppugnabile forza.           

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