La deriva surreale dell’accordo con Trump: l’Ue si inginocchia ma non verbalizza. Ora servono regole, fondi e scudi contro i ricatti - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 18:22

La deriva surreale dell’accordo con Trump: l’Ue si inginocchia ma non verbalizza. Ora servono regole, fondi e scudi contro i ricatti

Di Ernesto Vergani

A due giorni dalla dichiarazione congiunta Usa-Ue sui dazi, annunciata da Donald Trump e Ursula von der Leyen, emerge un dettaglio: per Bruxelles l’accordo non è giuridicamente vincolante. Nessuna firma su un trattato, nessun obbligo immediato. Come spiegano fonti della stessa Commissione, si tratta di un’intesa politica, un gentlemen's agreement in attesa di futuri passaggi formali: un testo che impegna sulla carta, ma non nei fatti. Questo non è un segnale di ripensamento da parte dell’Unione europea - sarebbe quasi consolante. È la conferma di una resa camuffata, gestita con ambiguità semantiche e procedure dilatorie. Il contenuto dell’intesa, come osservato ieri, appare favorevole agli Stati Uniti e penalizzante per l’industria europea. Oggi scopriamo che l’Europa ha annunciato l’accordo senza avere né la base giuridica né il mandato pieno per ratificarlo.

L’Europa ha sbagliato schema negoziale

È qui che emerge l’errore strutturale: l’Europa ha sbagliato schema negoziale. E non si può escludere che Trump colga l’occasione per ribaltare la narrazione e accusare l’Ue di slealtà: “Mi avete preso in giro, ora dazi al 50%.” Sarebbe un paradosso, ma non sorprenderebbe: è parte del suo schema. È importante rimarcare questo punto. Se da un lato l’Europa ha le sue responsabilità, la vera origine dell’asimmetria è nello stile negoziale di Trump, che non cerca compromessi ma posizioni di dominio. Come noto, il suo approccio si ispira a modelli consolidati: la brinkmanship teorizzata da Thomas Schelling, le leggi del potere spregiudicato di Robert Greene, le tecniche di escalation di Chris Voss e il realismo di potenza di Henry Kissinger. Trump annuncia, minaccia, esagera, poi ritratta o riformula. Il suo obiettivo è costringere l’interlocutore a reagire in posizione di svantaggio, mai in equilibrio. L’Europa, ancora una volta, non ha capito con chi sta negoziando.

Che fare?

1. Il primo passo è uscire dall’ambiguità istituzionale: se l’intesa con gli Stati Uniti ha un contenuto reale, va formalizzata e ratificata con tempi certi. In caso contrario, genera solo sospetti e instabilità. Bruxelles ha il dovere di chiarire il quadro, sia verso i cittadini sia nei confronti delle imprese. 2. È necessaria una protezione economica concreta per i settori più esposti, a partire da agroalimentare e meccanica. Servono strumenti efficaci e snelli: bonus fiscali, fondi dedicati, misure di salvaguardia. 3. L’Europa deve dotarsi di un fondo strutturale di compensazione contro eventuali ritorsioni commerciali. Un meccanismo analogo al SURE o al Next Generation EU, ma specificamente pensato per le crisi geopolitiche. Di fronte a un possibile cambio di linea da parte americana, l’Unione non può farsi trovare scoperta. 4. Va rilanciata con decisione la strategia di diversificazione commerciale. Accordi con Canada, America Latina, ASEAN, Mercosur, India — già avviati o sospesi — vanno riattivati e conclusi. La politica estera commerciale europea deve diventare una leva strategica di autonomia. 5. Serve infine uno scudo politico contro gli accordi opachi. I negoziati internazionali devono prevedere trasparenza, tracciabilità degli impegni e clausole automatiche di revisione in caso di inadempienza. Non è una questione di sfiducia, ma di equilibrio e deterrenza.