"L’amore non ha un perché”: nel suo ultimo libro Gramellini scopre – e ci ricorda – che l’amore comincia dove finisce la paura - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 10:06

"L’amore non ha un perché”: nel suo ultimo libro Gramellini scopre – e ci ricorda – che l’amore comincia dove finisce la paura

Di Ernesto Vergani

Nel suo nuovo romanzo, L’amore è il perché (Longanesi, 2025), Massimo Gramellini tenta una traversata interiore più che narrativa. Giornalista, scrittore, volto televisivo, da anni esercita il mestiere di dare parole ai sentimenti degli altri – prima con la rubrica 7 di Cuori sul Corriere della Sera, poi con i suoi editoriali in cui intreccia introspezione e riflessione morale. Ma qui, più che dispensare consigli, sembra voler guarire da se stesso.

L’occasione è casuale e simbolica: nella sua “Farmacia dell’Anima” – la libreria dove raccoglie i libri che lo hanno curato nei momenti difficili – un volume di Platone, Il Simposio, gli cade su un piede. È il segno di un incontro imprevisto, fisico e filosofico, da cui nasce il suo pensiero sull’amore: “L’amore non ha un perché. L’amore è il perché.”

Come Socrate nel banchetto platonico, anche Gramellini interroga e si interroga. L’amore, scopre, non è una formula ma una prova di coraggio: “Il rischio è bello, e il mito potrà salvare anche noi, se gli crediamo”. In un’epoca che rimuove il rischio e glorifica la comfort zone, il messaggio è attuale.

La paura è infatti il vero antagonista del libro: “Avevo paura di essere mangiato e le belve feroci si chiamavano Amore non corrisposto, Amore tribolato, Amore e basta”. Con tono ironico e disarmato, Gramellini riconosce di avere “strappato la corda delle emozioni per non soffrire” e, così facendo, di essersi tolto anche “la possibilità di godere”. È l’amore tiepido dell’uomo che ha avuto tutto – successo, notorietà, lettori fedeli – e si accorge di aver vissuto a metà.

Sulle orme di Platone, che nel Simposio fa dire ad Aristofane che ciascuno di noi è “metà di un symbolon” alla ricerca della propria parte perduta, Gramellini riconosce di avere a lungo cercato non una persona ma un anestetico. Il suo libro diventa così un itinerario socratico, un dialogo con i propri fallimenti più che una lezione d’amore.

Il tono resta quello che gli è proprio – una prosa piana, da conversatore gentile – ma dietro le battute affiora una domanda metafisica: perché amare, se amare fa male?

La risposta riecheggia Kierkegaard, quando scrive che “chi non osa nulla non perde nulla, ma è già perduto”. E anche Erich Fromm, per il quale l’amore non è un’emozione ma un atto di volontà, “un impegno della propria libertà”.

Nell’epoca dei sentimenti liquidi di Bauman, Gramellini propone un’eresia: che la salvezza non sia nella prudenza ma nell’esposizione. Che vivere significhi, come scrive, mettersi in gioco e lasciarsi ferire. È la lezione che Platone faceva dire a Socrate nel Fedro: “Chi ama è posseduto da un dio.”

Così, uno dei giornalisti più visibili in televisione finisce per scrivere il suo libro più intimo e, paradossalmente, più filosofico. Non perché insegni l’amore – “non ho alcun titolo per insegnarlo agli altri”, ammette – ma perché, per la prima volta, lo studia in se stesso. E scopre che il centro dell’amore, come quello della vita, non si trova spiegando ma rischiando.