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Non va sempre così di Evelina Santangelo, Einaudi

Recensione di Alessandra Peluso
Imbattersi nella lettura del romanzo "Non va sempre così" di Evelina Santangelo è comprendere all'improvviso come sia possibile sognare.
Tre generazioni si confrontano in questa storia, l'una in contatto con l'altra, legate dal vincolo di parentela: padre, figlia, nipote. Ognuna di esse reagisce a suo modo, e dove non c'è rassegnazione la vita dimostra che tutto è ancora possibile, anche ciò che sembra surreale e irrealizzabile.
La scrittura fluida, chiara, decisa di Evelina Santangelo, già autrice di romanzi di successo, deifinisce un'atmosfera esistenziale contemporanea, nella quale affiorano precarietà, instabilità, insuccessi e solitudine.
Le protagoniste del romanzo: un'insegnante, madre di Matilde, appena licenziata, la figlia adolescente e le sue esperienze di ribellione e di reazione ad una famiglia in crisi, ad una conseguente società dominata dal caos, conducono a riflessioni argute.
Un vivace senso di ironia accompagna le pagine di "Non va sempre così". Forse l'autrice vuole concedere al lettore con l'arma dell'ironia, una possibile via d'uscita nella labirintica vita; un po' come Antonin Artaud, internato nel manicomio di Rodez, quando scrive: "Di voler uscir fuori da questo mondo servile di un'idiozia asfissiante per gli altri e per sé, e che si compiace di questa asfissia" (p. 103).
Ecco appunto, sembra di vivere in un manicomio, costretti da un sistema captivo, nel quale per essere felici bisogna "servire", "essere utili", fare qualcosa. Una condizione denigrante che denota la mancanza di una capacità critica spiccata, di una coscienza in grado di leggere la realtà, di vedere e ricercare l'altro. E così si dipana la storia, in dialoghi serrati e poco costruttivi, segno della "modernità liquida", dove prevale la ragione e non la ragionevolezza, lo scontro e non il confronto. Come ad esempio nei talk show, all'interno dei quali i dialoghi si creano ad arte per affondare l'altro e non per costruire insieme un punto di vista comune.
Sembra apparentemente una storia come tante, ma l'omologazione comporta superficialità e annullamento delle diversità, che invece, in modo delicato, quasi danzante, si muovono distinte in "Non va sempre così".
Evelina Santangelo distingue ed esalta le diverse sensazioni di ogni personaggio del romanzo, rende con abile maestria delle immagini di vita quotidiana, metafore che conducono a considerazioni intimistiche, ciascun lettore. Si legge: "Liberarsi buttandosi giù. Non è nemmeno un pensiero, è piuttosto un istinto che la spinge verso il corrimano e poi la blocca lì, atterrita sulla soglia del mondo dove tutto dorme un sonno profondissimo. Ed è proprio quell'immobilità irreale, a suo modo pura, ricomposta e intatta, che a un certo punto, non sa come, le infonde una calma improvvisa, che si fa pensiero" (p. 101).
Talvolta, i pensieri se voluti, desiderati, cercati, si concretizzano e portano un raggio di sole nella vita di un individuo, così come succederà alla madre di Matilde e a quest'ultima. L'inaspettato si realizza.
"Non va sempre così" di Evelina Santangelo è un altalenarsi di momenti, un andirivieni di onde, in un mare non sempre agitato o tempestoso, in mezzo al quale da buon marinaio è indispensabile, seguire il proprio vento e proseguire la rotta. L'esistenza è talmente complessa e intricata di imprevisti, fattori umani soggettivi e oggettivi, che non ci si può permettere di razionalizzarla e ridurla in una sola visione, in un'unica prospettiva. Fuorviante. Troppi i colori, le sfumature, le tonalità, i bianchi e i neri, i giochi di luce che rischiarano anche in una nebbia fitta e densa.