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“Francesco - La Peste la Rinascita”, l'intervista all'autore Marco Politi

Cosa è la peste per Francesco? 

Cos’è la peste del Coronavirus per noi, dovremmo chiederci anzitutto. Ha già fatto più di un milione di morti e oltre 39 milioni di contagiati. Ma l’Organizzazione mondiale della sanità stima che ci siano centinaia di milioni infetti non registrati. La pandemia è un maremoto che ha invaso le nostre esistenze e la seconda ondata di queste settimane è ancora più violenta della prima, lasciandoci smarriti e angosciati. Francesco, che pure esorta a seguire tutte le misure prudenziali e protettive delle autorità, ha capito che questo dramma non può rimanere esclusivamente un affare riservato a politici e scienziati. Nella tempesta di primavera, con la straordinaria cerimonia in piazza San Pietro deserta come le nostre città, Francesco ha “afferrato” le paure, le inquietudini, la domanda di senso dei contemporanei. Ha respinto l’idea che la pandemia fosse prodotta dall’ira divina o un “giudizio di Dio”. Ha respinto la tentazione egoista del si salvi chi può. Sottolineando il “noi”, ha ricordato che tutti siamo nella stessa barca, che non ci si salva da soli. E che questo è il momento in cui gli uomini e le donne, colpiti dalla malattia, devono chiedersi: cosa è superfluo? Cosa è necessario? Cosa possiamo e dobbiamo fare? E soprattutto, partendo dal valore della vita umana,  il papa argentino ha posto la questione in quale tipo di società gli uomini e le donne del XXI secolo vogliono vivere e quale tipo di comunità vogliono ricostruire dopo la catastrofe della pandemia.      
  

Il titolo del libro parla anche di rinascita. Che cosa intende?

E’ un’immagine di Francesco. Anzi, in un messaggio ad una rivista spagnola parla di “risorgere”. E’ un concetto sottile. Non si risorge con il vecchio corpo… Francesco vuole dire che dopo questa grande crisi niente può essere come prima. Si potrà stare peggio (e molti indicatori spingono già in questa direzione) oppure si potrà lavorare per un modello di società e di sviluppo migliore. Si tratta di scegliere se lavorare per una società inclusiva, che non “scarta” le persone e non lascia ai margini nessuno. Non è una morale buonista astratta. Avere un servizio sanitario nazionale efficiente è un fatto concreto. Avere un sistema su base assicurativa – molto costoso peraltro - come negli Stati Uniti significa lasciare per strada milioni di persone. Anche questo è un fatto concreto. Superare il precariato sistematico che tiene sulla corda giovani e meno giovani, impedendo loro di progettare una serena vita di coppia e dei figli, è altrettanto concreto. Contrastare le schiavitù lavorative e sessuali,   affrontare il problema epocale delle migrazioni, combattere il degrado naturale che comporta – dati alla mano – un inevitabile degrado sociale…. Sono tutte questioni concrete. Concreto è anche l’invito ribadito ieri da Francesco all’Angelus di pagare le tasse. Tradotto: non si è buoni samaritani se si inganna la comunità, se si approfitta delle cure ospedaliere alle spalle dei concittadini che pagano le tasse. Chi  vuole uno stato sociale, ha il dovere di contribuire. 
L’egoismo individuale non fa crescer una società. L’egoismo nazionalistico dei sovranisti non fa crescere la pace, la cooperazione, lo sviluppo armonico a livello internazionale. Ecco perchè il papa ironicamente dice che “peggio di questa crisi è sprecarla” per lasciare che si torni alle disuguaglianze e alle ingiustizie e ai disastri ambientali di prima.

Cosa rappresenta per lei Papa Francesco? Cosa ha imparato da questo pontificato?

Un papa non è un santino. Può raggiungere traguardi o fare errori e la stampa ha il dovere di segnalare l’uno e l’altro. Sul piano storico la secolarizzazione, che comporta la crisi delle forme tradizionali ecclesiastiche, procede inarrestabilmente. Ma la qualità e la grandezza di un papato si vede dalla sua capacità di interloquire con il mondo. Come papa Wojtyla (per citare una personalità che ancora molti ricordano) Francesco parla ai contemporanei, anzi riesce a raggiungere cuore e menti di milioni di uomini e donne oltre gli steccati confessionali: cristiani e seguaci di altre religioni, credenti e atei o agnostici.
Perché non parla da monarca ma da discepolo di Cristo, predica i valori del Vangelo che si intersecano con i principi moderni proclamati dalla rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, fratellanza. Soprattutto riporta al centro dell’attenzione la domanda: quali sono i tuoi valori-guida? Perché in realtà chi vive senza principi etici, alla fine è sottoposto consapevole o meno alle priorità che gli dettano altre forze economiche, mediatiche, politiche. 
Ho imparato da tutti i pontificati, facendo la professione di vaticanista, ho imparato anche dalla mia esperienza in Unione sovietica dove sono stato corrispondente per sei anni, dalla perestrojka di Gorbaciov alla nascita della nuova Russia di Elzin. Ho imparato non bisogna mai perdere lo sguardo critico e mantenere il coraggio di esprimere la propria opinione con chiarezza.

Cosa è oggi nel 2000 un papa?

Il capo di una comunità organizzata di un miliardi e trecento milioni di donne e uomini sparsi nei cinque continenti. Una comunità, che sta facendo un cammino faticoso di transizione sotto l’impatto della cultura contemporanea che non tollera l’idea di “gregge” ed esalta il soggetto. Francesco è impegnato nel de-monarchizzare la Chiesa, rendendola più comunitaria. Predica un cristianesimo che significa in primo luogo testimonianza attiva della Buona Novella piuttosto che mera partecipazione a riti o semplice etichetta identitaria. Ha spazzato dal tavolo l’ossessione ecclesiastica per le questioni sessuali. Ha fatto pulizia nella banca vaticana. Ha permesso con le sue riforme che l’attuale grande scandalo finanziario in Curia venisse denunciato prima di tutti dalle autorità di controllo vaticane. Mentre in passato erano le indiscrezioni mediatiche che portavano alla luce il torbido. Ha messo sul tavolo (anche se non risolto) il tema delle donne-diacono e di un clero anche sposato. E’ il primo papa che ha cacciato dal collegio cardinalizio due porporati per abusi. E un altro per malversazione. Francesco è protagonista dinamico della lunga marcia della Chiesa nel nuovo millennio. 

Essere diventato nonno, ha cambiato la sua percezione di figlio e in senso più ampio di “figlio di Dio”?

Sono diventato nonno per la terza volta questa estate e come tutti soffro per la nuova ondata di pandemia che ci costringe a stare lontani da figli, nipoti, persone care e amici. Il distanziamento dai familiari è un dolore grandissimo. Ma è anche occasione per riflettere sul fatto che ognuno ha il diritto di vivere in una famiglia serena. Il lockdown mi ha reso ancora più attento al tipo di società in cui viviamo. Che non aiuta i giovani, non aiuta le madri che lavorano, non aiuta le giovani coppie che vogliono avere figli. Per questo diventa vitale per miliardi di persone agire perché si posa vivere in una economia sociale di mercato, non accettando la narrazione falsa (“tutti possono arrivare al top”) di chi promuove un’economia finanziaria di rapina. Il concetto di redistribuzione delle ricchezze è essenziale per potere vivere in una società umana. Nell’infuriare della pandemia Francesco si è rivolto al mondo per ricordare che siamo tutti nella stessa barca. Non è un bel mondo quello in cui masse di persone affogano e una minoranza se ne va nella sua barchetta.
Francesco sottolinea sempre che Dio è padre di tutti – e così vengo alla seconda parte della domanda – e questo libera l’immagine di Dio dai lacci confessionali. Madre Teresa di Calcutta diceva che “Dio non è cattolico”. Io sono di cultura laica, perciò l’icona di “figli di Dio” non mi parla direttamente. Ma un papa che parla di un Dio padre di tutti, schierandosi contro ogni fondamentalismo e sovranismo religioso e politico è un papa che promuove la fratellanza tra uomini e donne sul pianeta – e questo mi coinvolge.

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