"Salvato dallo Swing", il libro da non perdere - Affaritaliani.it

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"Salvato dallo Swing", il libro da non perdere

Devo pensare allo swing. Pensarlo almeno, se non posso suonarlo. Non solo quello di qua, anche lo swing italiano. E alle tre ragazze che amo molto, le fantastiche sorelle del Trio Lescano. Che in realtà non si chiamano affatto Lescano e non sono neanche italiane...

Giacinto è un operaio con una buona cultura generale da autodidatta, amante della geografia, attratto dalla matematica e ottimo violinista. In Italia, di sera, dopo il lavoro, spesso indossa il vestito di capo orchestra e suona nelle sale da ballo milanesi. Durante la Seconda guerra Mondiale, soldato di una Compagnia mortai di Alcamo, nel luglio del 1943 viene fatto prigioniero dagli americani e trasferito in un campo nel North Carolina. Lo Swing sarà la sua salvezza, perché gli permetterà di vivere meglio la sofferenza della lontananza da casa e, soprattutto, di ricongiungersi a qualcosa che per lui è vitale: il violino, lo strumento che ama tanto e del quale viene privato in guerra in Italia e che, paradossalmente, riesce riprendere in mano e a suonare da prigioniero.

La storia di Giacinto, narrata nel libro di Enzo Riboni Salvato dallo Swing. Un violino in America (Il Falò Edizioni), è anche la storia dell’amico fedele Carletto, del soldato Donovan, della tenente-cantante Jenny, della moglie Rosina e, in fondo, del figlio Enzo, autore del libro. Episodi romanzati si collocano all’interno di riferimenti storici veritieri e precisi. Come l’attentato anarchico al cinema Diana a Milano e il bombardamento americano sulla scuola elementare di Gorla. Ma anche gli incontri di box in nave, i tribunali clandestini tedeschi nei campi di prigionia, le fughe dai campi francesi molto più duri di quelli americani... Salvato dallo Swing è un romanzo storico attraversato dalla musica, dall’amicizia, dalla speranza e dall’amore che evoca vicende poco note, come quella dei 50.000 militari italiani detenuti negli Stati Uniti, 37.000 dei quali divennero “cooperanti” ed entrarono nella “Italian Service Units”.

Come e quando prende forma l'idea di raccontare questa storia?

Troppo tardivamente.

Da sempre, cioè, avevo una storia pronta da raccontare senza rendermene conto. Da quando ero bambino e mio padre ricordava qualche episodio della sua prigionia in America, dopo essere stato catturato dagli Alleati sbarcati in Sicilia nel 1943. Dalle sue evocazioni emergeva una grande ammirazione per la democrazia americana, sconosciuta per lui, nato e cresciuto sotto la dittatura fascista, e un vivace entusiasmo per la ricchezza di quel Paese, per la sua potenza industriale imparagonabile con quella italiana dell’epoca.

Io però, da piccolo, non davo peso a quei racconti che erano troppo fuori dal mio mondo di bambino. Ancor più estranea ed ostile, quell’esperienza, mi era poi apparsa da adolescente, durante la contestazione studentesca, perché a quel tempo gli Stati Uniti erano per me e per la mia generazione i maggiori nemici, gli invasori del Vietnam.

Poi è venuta la maturità e, tra i tanti problemi, quelle vicende di mio padre si sono perse nella memoria. Anche se, spesso, mi capitava di evocarne qualche particolare durante le cene con gli amici. Mai però avevo pensato di farne un racconto scritto.

Fino a che, una sera di un paio di anni fa, parlando con una mia amica, lei mi ha detto: “Ma è una storia bellissima, c’è materia per un film. Per lo meno, perché non scrivi un romanzo?”. 

Quanto c'è di reale e autobiografico nel romanzo?

Se dovessi dare una percentuale, direi non più del 20 per cento di vicende realmente vissute da mio padre. Il resto è fantasia, vita romanzata. Anche se, va detto, ogni riferimento storico è rigorosamente veritiero e ha come base il saggio di uno storico che è il massimo conoscitore delle vicende trattate (Flavio Giovanni Conti – I prigionieri italiani negli Stati Uniti, Bologna, il Mulino, 2012) lo stesso che ha steso la prefazione al mio romanzo.

D’altro canto, se pur inevitabilmente distorto dal ricordo e adattato alle esigenze narrative, c’è anche non poco di autobiografico. La narrazione, infatti, alterna capitoli in cui Giacinto, il protagonista, riflette sulla sua situazione di prigioniero evocando, attraverso flashback, episodi della sua vita in Italia, ad altri di azione attuale con un narratore esterno. In realtà i giochi cronologici, costituiti da ricorrenti analessi, spesso non si riferiscono ai ricordi di mio padre ma direttamente alle mie stesse esperienze di ragazzo, creando così un mix inestinguibile di esperienze mie e sue.

Comunque, per quanto riguarda le evocazioni di Giacinto, in esse due elementi, strettamente legati, giocano un ruolo centrale: la musica e gli Stati Uniti. Proprio perché, già in Italia, il protagonista ama il jazz, lo Swing, il Boogie-woogie e i grandi esecutori dell’epoca, da Benny Goodman a Count Basie a Duke Ellington, e, di conseguenza, ama tutto ciò che è americano, al punto che la sua cattura, se da una parte gli suscita paure e preoccupazioni, dall’altra gli apre speranze da “scoperta dell’America”. Attenzione, però, non manca una chiave al femminile. Infatti, pur essendo una storia di soldati, quindi di maschi, la presenza femminile è fortissima. E ha a che vedere con il coraggio, “qualità” solitamente abbinata chissà perché alla mascolinità. 

Grazie alla presenza dei link si potrebbe definire quasi un libro in grado di suonare o di raccontarsi anche attraverso le note: come è venuta questa idea molto innovativa?

Lo Swing è il secondo protagonista del romanzo. È il genere musicale nato negli Stati Uniti negli anni venti del secolo scorso e diventato popolarissimo tra il ‘35 e il ’40 con il suo ritmo “dondolante”, cioè, appunto, “Swing”, come si dice in inglese. La musica, quindi, per Giacinto, è la salvezza, perché gli permette di vivere meglio la sofferenza della lontananza da casa e, soprattutto, di ricongiungersi, proprio in prigionia, a qualcosa che per lui è vitale: il violino.

Non è però tutto e solo Swing, nella formazione musicale di Giacinto ci sono anche la musica classica e il ballabile. Al punto che nel libro la narrazione si arricchisce di ben 74 brani musicali, sparsi lungo il racconto e tutti con un significato legato all’azione del momento, pezzi che spaziano dal jazz al soul alla classica alle canzonette: da “Boogie Woogie bugle boy” al “Primo movimento del Concerto in Mi minore” di Mendelessohn, da “Chattanooga Choo Choo” a “Giovinezza, inno fascista”. Nella versione ebook basta cliccare sul link e si ascolta il brano in un’esecuzione d’epoca. Nella versione cartacea è un po’ più complicato, perché occorre ricopiare la lunga stringa del collegamento. Ma ne vale la pena.

Insomma, in definitiva, il libro non è solo raccontato, è anche suonato!

Idee e progetti futuri?

Una possibile “seconda puntata”, potrebbe essere una specie di “sliding doors”. Giacinto che realizza il suo sogno di emigrare in America, con suo figlio che così incappa in due possibili destini contrapposti: garzone di parrucchiere o brillante studente del Mit.

L’altro progetto, che però mi convince meno visto il pericolo di cadere in argomenti inflazionati, un thriller fantapolitico.

La possibilità di ascoltare “in contemporanea” su youtube i brani suonati dal protagonista, integra e ravviva la narrazione. In libreria e in versione ebook, 290 pagine, 16 euro.

Prefazione di Flavio Giovanni Conti, autore del saggio I prigionieri italiani negli Stati Uniti. 

https://ilfaloeditore.com/salvato-dallo-swing-enzo-riboni/

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