Alla Rai non serve un manager ma un esorcista
Di Daniele Carrer
Una decina di anni fa, mentre il Governo stava tentando di privatizzare per l'ennesima volta la nostra Compagnia di bandiera, l'amministratore delegato di Airfrance interrogato per sapere se la sua Azienda fosse interessata, memore delle estenuanti trattative intercorse qualche mese prima con i Sindacati italiani nel fallito tentativo di acquisirla, se ne chiamò palesemente fuori sostenendo che l'unico modo per salvare Alitalia era ricorrere ad un esorcista. Si fa un gran parlare in questi giorni del futuro della Rai e, in questa chiave, non riesco a fare a meno di pensare a quell'esperto manager francese che attraversò le Alpi conscio di averle viste tutte in vita sua e che invece si scontrò con delle logiche talmente irrazionali che solo un Italiano poteva capirle.
I nomi della prossima dirigenza RAI che circolano in questi giorni sono senz'altro quanto di meglio ha prodotto l'imprenditoria negli ultimi anni, il problema è che non solo questa volta avranno a che fare con i diritti acquisiti di chi lavora per un'Azienda Statale (parlo di quelli assunti da più di 15 anni, conscio che gli altri spesso sono più sfruttati dei lavoratori di McDonald's), il problema principale sarà che agli stessi problemi che furono di Alitalia si andranno ad aggiungere quelli derivanti dal fatto che si sta parlando di televisione, con tutto quello che politicamente comporta farlo in Italia.
Per trovare un altro paragone accessibile ai più, la RAI del 2015 è uguale alla FIAT del giorno prima che arrivasse Marchionne, con la differenza che essendo la prima ancora lautamente finanziata dallo Stato nessuno dei suoi dipendenti (e di chi vive del fare gli interessi di tali persone) è portato ad accettare decisioni dolorose, perché a salvaguardare il suo posto di lavoro ci sarà sempre il contribuente, in un mercato televisivo che negli ultimi 10 anni è cambiato molto di più dello scenario che si trova davanti l'operaio quando gli spostano la fabbrica all'estero dicendogli “mi dispiace, ma è così”. Non si può più parlare di monopolio del servizio pubblico perché, accanto alla spazzatura che affolla i palinsesti, esistono due canali privati all news nazionali e una miriade di testate giornalistiche locali, perché esistono SKYARTE, History Channel, Focus e tutta una serie di realtà che hanno capito da tempo come coniugare esigenze di mercato con cultura e divulgazione scientifica. Oramai l'Italiano medio, a cui viene chiesto di modernizzarsi su qualsiasi cosa, dall'accettare una produttività sempre maggiore al dover andare in pensione a 70 anni, non potrà più fare a meno di farsi venire il dubbio che dietro al paravento di Report e Rai Educational si nascondano insopportabili sacche di inefficienza e clientelismo fatte di Quadri dirigenziali inutili e di uffici pieni di persone che non troverebbero lavoro da nessun altra parte. Quello stesso Italiano che paga sulla sua pelle la crisi, non vuole finanziare con le sue tasse Ballando con le Stelle o Affari Tuoi perché, per quanto gli uffici stampa siano sempre bravi a produrre dei documenti che spiegano come con quei programmi l'Azienda ci guadagni (basta semplicemente non considerare i costi fissi mastodontici dell'intera struttura), se vuole vedere un giochino a premi se lo guarda su Canale 5 o su Agon Channel.
Per venire alla questione principale: quale sarà quindi il futuro della RAI? Credo lo stesso di Alitalia: un periodo di managerialità zoppa nell'attesa, fra 3, 5 o 10 anni di un Governo sufficientemente forte da sopravvivere a decisioni drastiche, che nel caso della televisione pubblica non comporteranno peraltro la cessione ad un gruppo privato ma una semplice massimizzazione dei format di matrice culturale. Come è ovvio, la decisione che programmi come quello di Fazio o di Porro rientrino nella categoria sarà una semplice questione di giochi politici.