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È “dovere” dell’editore di un quotidiano, su precisa richiesta della persona interessata, aggiornare sull’archivio on line un articolo ritenuto in via definitiva diffamatorio, creando un link che consenta all’utente la lettura integrale quantomeno del dispositivo del provvedimento irrevocabile che ha accertato la diffamazione. Lo ha stabilito una sentenza innovativa con cui la seconda Corte d’Appello Civile di Milano, presieduta da Luigi de Ruggiero, ha accolto in parte il ricorso contro Rcs Quotidiani presentato da Fidinam Group Holding, fiduciaria svizzera “diffamata” con un pezzo pubblicato sul Corriere della Sera il 14 febbraio 2004. Al centro del procedimento c’è un articolo pubblicato all’epoca dei crac di Parmalat e Cirio e che una sentenza passata in giudicato sette anni fa ha ritenuto diffamatorio con la conseguente condanna a risarcire la società elvetica. La quale, falliti i tentativi di ottenere che l’articolo venisse cancellato dall’archivio o venisse adottato “altro rimedio”, aveva avviato una causa civile. In primo grado la Fidinam si era vista respingere sia la richiesta di un ulteriore risarcimento del danno patrimoniale causato, a dire dei suoi legali, dalla “reiterata lesione alla reputazione commerciale”, sia dell’eliminazione dall’archivio dell’articolo o di una modifica del testo togliendo i riferimenti alla fiduciaria, sia dell’inserimento di un collegamento che informasse della sentenza e che riconoscesse il carattere diffamatorio del pezzo.


La Corte d’Appello ha, invece, negato che l’inserimento dell’articolo nell’archivio on line costituisca un ulteriore episodio di diffamazione e, quindi, ha rigettato la richiesta di risarcimento, ma ha condannato Rcs Quotidiani spa, come ha scritto il giudice estensore Giovanni Battista Rollero, “ad attivare nell’archivio storico de Il Corriere della Sera (…) un collegamento automatico, che in caso di consultazione dell’articolo” giudicato diffamatorio “consenta all’utente la lettura integrale del dispositivo della sentenza” definitiva.

La decisione si basa anche su quanto stabilito dalla Cassazione nel 2012 per un caso che presenta analogie sebbene riguardi un articolo mai ritenuto diffamatorio. In particolare il giudice milanese ha ritenuto significativa l’affermazione degli ermellini, secondo i quali “se il passaggio dei dati all’archivio storico è senz’altro ammissibile, ai fini della liceità e della correttezza del relativo trattamento e della relativa diffusione a mezzo della rete internet, è indefettibilmente necessario che l’informazione e il dato trattato risultino debitamente integrati e aggiornati”. Quindi nell’archivio on line e accessibile via internet “la notizia non può continuare a risultare isolatamente trattata e non contestualizzata in relazione ai successivi sviluppi della medesima. Ciò al fine – riportano le motivazioni della Cassazione riprese da Rollero – di tutelare e rispettare la proiezione sociale dell’identità personale del soggetto…”. In più, senza un aggiornamento, la notizia risulterebbe “parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera”.


Tali principi per il magistrato valgono “a maggior ragione” quando si tratta di un articolo giudicato definitivamente diffamatorio e il cui inserimento in un archivio accessibile sul web “non pone un problema di pubblicazione o ripubblicazione dell’informazione, quanto bensì – ha proseguito richiamando sempre la suprema Corte – di permanenza della medesima nella memoria della rete internet e, a monte, nell’archivio del titolare del sito sorgente”. E poiché “il fondamento del diritto all’aggiornamento della notizia risiede, in definitiva, nell’interesse di rilievo costituzionale alla tutela dell’identità personale o morale del singolo nella sua proiezione sociale” –   tutela “ancor più pressante ed evidente nel caso di un articolo diffamatorio”, sia che si tratti di persona o ente – per la Corte l’editore deve, su espressa richiesta dell’interessato, aggiornare la notizia in archivio inserendo un link che “riporti testualmente il dispositivo della sentenza irrevocabile”.

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