Non solo Francesca Barra, anche Chiara Ferragni e Maria De Filippi su SocialMediaGirls. Il nuovo caso dopo Phica.eu - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 19:06

Non solo Francesca Barra, anche Chiara Ferragni e Maria De Filippi su SocialMediaGirls. Il nuovo caso dopo Phica.eu

Più inquietante ancora è la presenza di un'offerta che consente a chiunque carichi una foto, di generare una versione nuda della persona ritratta

di Sandro Mantovani

SocialMediaGirls, il nuovo caso dopo Phica.eu

Un nuovo capitolo di violenza digitale si apre sul web. Dopo il caso Phica.eu, emerge un altro sito che distribuisce immagini pornografiche senza consenso. E questa volta entra in scena anche l’intelligenza artificiale.

SocialMediaGirls.com si presenta come un portale per adulti, ma sotto quella patina nasconde foto pubblicate illegalmente e uno strumento che promette di “spogliare” qualunque donna a partire da una comune fotografia, trasformandola in un vero e proprio nudo iperrealistico.

Tra le persone citate come vittime ci sono volti noti del panorama italiano: cantanti, conduttrici, influencer e giornaliste — da Anna Tatangelo a Chiara Ferragni, da Maria De Filippi a Diletta Leotta, e molte altre. Non si tratta soltanto di deepfake: nella sezione dedicata a Leotta sarebbero circolati anche file trafugati dal suo telefono. A questo si sommano immagini ottenute — secondo quanto ricostruito — da videocamere nascoste, telefoni hackerati, foto scattate per strada o tratte da profili pubblici su Instagram.

Il materiale è organizzato e commentato in spazi che sembrano pensati perché la diffusione resti “tra addetti ai lavori”: un forum chiamato “Italian Nude Vip” dove si contano decine di pagine dedicate a persone italiane e quasi 150 pagine dedicate a celebrità internazionali. Sotto le immagini si leggono centinaia di commenti, richieste di altro materiale e conversazioni che oscillano tra la banalizzazione del reato e fantasie esplicite di chi scambia corpi reali per intrattenimento.

Più inquietante ancora è l’offerta commerciale: alla base del sito ci sarebbe un’app a pagamento con prova gratuita — pubblicizzata come “Ai Undress porn” — che consente a chiunque carichi una foto di generare, in pochi click, una versione nuda della persona ritratta. Lo strumento abbassa la soglia di accesso al danno, rendendo possibile a chiunque replicare virtualmente lo stupro dell’immagine.

Le segnalazioni sono arrivate pubblicamente tramite la giornalista Francesca Barra, che ha denunciato il fenomeno sui social dopo essere stata informata da una fonte che aveva casualmente scoperto il sito; da lì la vicenda è approdata anche a reportage su testate nazionali. Per la polizia postale sono scattati accertamenti sulla natura dei contenuti e sulle responsabilità del portale: la dimensione sistemica del problema solleva interrogativi sul numero di piattaforme analoghe ancora nascoste nella rete e sulla difficoltà di arginare questo mercato sommerso.

Le conversazioni rilevate sul forum rivelano anche tracce di un dibattito tossico: commenti che minimizzano l’età, che istigano a cercare materiale sempre più compromettente, e battute che alimentano la mercificazione del corpo femminile. È lo stesso squallido coro che si è sentito in casi simili: la rete come luogo di riproduzione infinita della violenza, dove la vittima subisce il danno più volte, dalla violazione iniziale fino alla sua esposizione eterna online.

Le autorità competenti sono state messe al corrente e sono in corso le verifiche per individuare i responsabili e valutare le violazioni penali e civili. Nel frattempo, resta aperta la domanda civile e sociale: come proteggere le persone — celebri o no — dall’uso strumentale dell’immagine personale? E come fermare servizi che, mascherandosi da tecnologia “di intrattenimento”, forniscono strumenti per la diffamazione, il revenge porn e la pornografia non consensuale?

Il fenomeno non è solo un problema tecnico ma culturale: richiede risposte legali più rapide, strumenti di rimozione efficaci, politiche delle piattaforme più restrittive e, soprattutto, una reazione collettiva che stigmatizzi chi diffonde e chi consuma questo materiale. Fino ad allora, però, la rete continuerà a restare un terreno pericoloso per molte donne — e la scoperta di SocialMediaGirls.com è l’ennesima, allarmante conferma.