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Norma Rangeri e i 50 anni de "Il Manifesto", quotidiano (ancora) comunista

“Il Manifesto” compie 50 anni: è infatti passato mezzo secolo da quel 28 aprile 1971, nel quale il “quotidiano comunista” debuttò in edicola. Nonostante tutto quello che è successo in questi cinque decenni, il quotidiano è ancora vivo e vegeto. E ancora si definisce orgogliosamente “comunista”, una scelta che la direttrice Norma Rangeri spiega nella sua intervista ad affaritaliani.it

Con quale stato d’animo arrivate a questo importante traguardo?

Sicuramente con un grande orgoglio, perché cinquant’anni fa nessuno pensava che saremmo durati così a lungo. Eppure abbiamo lavorato con impegno, abbiamo fatto di tutto perché ciò avvenisse. Come scrivo nel mio editoriale odierno, abbiamo fatto in modo che questo “miracolo laico” si concretizzasse, portandoci a quello che è un traguardo veramente storico

Lo è senza dubbio, perché continuate ad essere tra i quotidiani più longevi dell’editoria italiana…

Sì, solamente “Il Corriere della Sera” e “La Stampa” sono più longevi di noi. È davvero sorprendente che un piccolo vascello corsaro come il nostro sia riuscito a passare indenne attraverso acque tempestose, senza esserne travolto. Ci sono stati dei momenti molto difficili. Su tutti il 2012, quando la vecchia cooperativa che editava il giornale fallì. Per trovandoci in amministrazione controllata siamo riusciti a farne nascere una nuova, che ci ha collocati in una posizione inedita: ora siamo davvero padroni di noi stessi. Abbiamo fatto un grande lavoro, lo riconosciamo a noi stessi, ma non ce l’avremmo mai fatta senza la vasta community di lettori e lettrici che non ci ha mai fatto mancare il suo sostegno. Dalle lire agli euro, gli abbonamenti non sono mai mancati e questo, unitamente a una forte passione politica, ci ha guidato fino a qui

Ecco, la passione politica riveste un fattore determinante nella vostra storia: perché ancora oggi vi presentate ai lettori come “quotidiano comunista”?

L’identità di “quotidiano comunista” risale alla genesi de “Il Manifesto”, fondato da un gruppo di intellettuali che erano stati radiati dal PCI perché si erano posti in maniera critica nei confronti del socialismo reale in vigore nell’URSS e nei Paesi del blocco sovietico. La frattura era tale che venivano definiti “eretici” dai dirigenti del PCI. Luigi Pintor voleva dimostrare che si poteva essere comunisti anche stando fuori dal PCI e da qui nacque l’idea di definirsi in questo modo. Ovviamente nessuno avrebbe mai immaginato che il partito sarebbe sprofondato, mentre il nostro piccolo vascello sarebbe sopravvissuto a tutto quello che è successo dopo! Talvolta, anche scherzando, abbiamo ipotizzato di eliminare tale definizione, ma alla fine abbiamo sempre pensato che fosse un marchio identitario. Anche se si dice che la parola “comunista” non ha più il significato di una volta, di certo non è così per le persone a cui ci rivolgiamo. Le nostre battaglie contro la guerra, per la critica al capitalismo e i diritti dei lavoratori sono bene espresse dalla dicitura “quotidiano comunista”. Poi, certo, volendo si potrebbe parlare più genericamente di “sinistra” o anche di “comunardi”… ma “comunista” continua ad andarci bene

E dal vostro punto di vista come giudicate lo scenario politico odierno?

Con una certa disperazione… La sinistra ormai è in uno stato di crisi perenne e ovviamente questo ha convolto anche noi, ma non ci ha travolto. Come si spiega il fatto che, nonostante tutto, siamo arrivati fino a qui? Oltre alla scomparsa delle ideologie, abbiamo superato anche la crisi dell’editoria cartacea, il che’ non è certo poco. Io credo che sia perché fino ad oggi abbiamo sempre mantenuto fede a un doppio ruolo: quello di testimoni del passato e quello di non scontati interpreti del presente. Credo che sia questo ad averci portati fino a festeggiare mezzo secolo di pubblicazioni.
 

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