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Medicina
AAIC 2020, Carrillo: "Studiamo gli effetti del coronavirus sul cervello"

di Paola Serristori

 

Il cervello sotto doppio attacco. Il Coronavirus provoca un danno neurologico, che si aggiunge all’Alzheimer, l’epidemia del secolo. Alzheimer’s Association, con la collaborazione tecnica dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS), ha lanciato uno studio che coinvolge scienziati in oltre 30 Paesi per accertare gli effetti di Covid-19 su cervello, funzioni cognitive e comportamenti sociali. Uno dei primi dati noti è che i malati di Coronavirus manifestano irritabilità a causa delle lesioni provocate dal virus nel cervello.

Se n’è discusso alla Conferenza internazionale sull’Alzheimer (AAIC 2020), che ha vinto la sfida di far progredire la conoscenza, durante la crisi sanitaria, condividendo online un vasto programma delle più recenti ricerche e risultati clinici. La piattaforma sarà disponibile sino alla fine del mese (www.AAIC2020vfairs.com), senza costi di accesso.

Nella diagnosi precoce del morbo di Alzheimer la ricerca avanza per rendere disponibili test di screening dei bio-marcatori, le misure biologiche dei cambiamenti in corso nell’organismo associati ad un disequilibro, un’infiammazione, o inizio di malattia. Da anni gli studiosi identificano con maggiore precisione alcuni passaggi chiave della biochimica, che rivelano il processo di malattia in alternativa all’attuale puntura lombare per il prelievo del liquido cerebrospinale ed all’esame PET.

AAIC 2020 LOGO
 

Il morbo di Alzheimer avanza per stadi, provocando danni a cascata, sino alla distruzione dei neuroni. Sapere al più presto se ci si sta ammalando è vitale. Lo studio DIAN-TU, la principale sperimentazione clinica al mondo di farmaci che possono contrastare l’Alzheimer, dimostra chiaramente che nelle persone che hanno già perso pezzi di memoria non c’è miglioramento. Invece la terapia è efficace agli esordi della malattia, ossia quindici-venti anni prima dei sintomi.

Durante il confinamento sono aumentate le patologie psichiatriche, in particolare depressive, secondo l’allarme lanciato dai medici di base francesi. Il fattore di riproduzione e contaminazione del Coronavirus è in aumento. Ovunque si teme una nuova emergenza. Le città estere impongono l’uso di una maschera per la strada e non solo nei luoghi pubblici e negozi. “La gente deve lavorare, capiamo la pressione pubblica sui governi, ognuno deve fare la propria parte seguendo le raccomandazioni, di cui l’uso della maschera non è da sola sufficiente, fa parte del kit di gesti barriera”, ricorda Michael Ryan, responsabile dell’OMS nelle crisi sanitare.

Tra gli altri studi riferiti ad AAIC 2020, Kariem Ezzat, ricercatore del Karolinska Institute di Stoccolma, ha osservato come un virus si dirige sulla proteina Amiloide, coinvolta all’inizio del morbo di Alzheimer. Nell’ambiente extra-cellulare i virus sono bio-fisicamente equivalenti alle nano-particelle e penetrano come parassiti cellulari. Essi sfruttano le proteine presenti nei liquidi fisiologici, sangue e liquido della pleura, per raggiungere la cellula bersaglio. Ad esempio, la riattivazione dell’herpes simplex, che può avvenire in qualunque momento della vita, per una debolezza immunitaria, aumenta il rischio di Alzheimer, agendo come catalizzatore di Amiloide, trasformata nella forma tossica Aβ 42. Il Coronavirus sfrutta molto probabilmente lo stesso meccanismo, anche se, come va ripetendo l’esperto dell’OMS Ryan, non è ancora certo il modo in cui interagisce con le proteine. Può restare allo stesso modo silente nell’organismo?

Il Direttore scientifico di Alzheimer's Association, Professore Maria Carrillo
 

Durante AAIC 2019 Ruth Frances Itzhaki, Professore emerito della Faculty of Biology Medicine and Health, University of Manchester, aveva affermato: “Un virus ha bisogno di riprodursi. Una volta entrato nel corpo, può riattivarsi e provocare la morte delle cellule. Abbiamo osservato il Dna dell’Herpes virus (HSV1) in pazienti col gene EPOE4 associato all’Alzheimer. Non possiamo dire che esso sia la causa della malattia, ma certamente la condizione del paziente peggiora. Le infezioni provocano infiammazione, che riattiva il virus.” In questo periodo di emergenza di fronte al Coronavirus (Covid-19), viene spontaneo chiedersi se la ricerca scientifica deve unire le forze su demenza e virus.

Anche Covid-19 minaccia la salute mentale. Come proteggersi? Affari ha chiesto al Direttore del Comitato scientifico di Alzheimer’s Association, Professore Maria Carrillo, di aggiornare le conoscenze dei lettori.

“C’è un’evidenza nelle osservazioni dei clinici che Covid-19 provoca infiammazione nel cervello e sintomi neurologici come allucinazioni e deliri. Tuttavia, siccome siamo di fronte ad un nuovo virus, non conosciamo l’impatto a lungo termine sulle funzioni cognitive ed il cervello. Durante Alzheimer’s Association International Conference 2020 abbiamo annunciato un nuovo studio internazionale, condotto inizialmente da scienziati di 25 Paesi, il Framingham Heart Study, col supporto tecnico dell’Organizzazione mondiale della Sanità.”

– Quali sono le ultime conoscenze sull’Alzheimer e consigli nella prevenzione emersi ad AAIC 2020?

“Ci sono molte novità, posso citarne alcune. La minore incidenza di casi di Alzheimer tra la popolazione che effettua vaccinazione anti-influenzale, in particolare la ricerca ha preso in osservazione gli ultrasessantenni, e migliore risultato è stato registrato tra coloro che ripetono periodicamente il vaccino, e la vaccinazione contro la polmonite, tra i 65 e 74 anni, che è associata alla diminuzione del 40% del rischio di Alzheimer.

Un altro dato interessante è che i fattori di rischio del morbo di Alzheimer, ricordiamo ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, possono essere presenti già nella prima fase della vita, dall’adolescenza ai vent’anni, soprattutto tra gli afroamericani.

Nel campo della diagnosi, una nuova ricerca mostra l’affidabilità del test della proteina tau nel sangue, nella forma specifica p-tau217, che caratterizza e distingue l’Alzheimer da altre forme di demenza.

– Come valuta l’impatto del Coronavirus su chi soffre di demenza?

“La debilitazione provocata dalla demenza non è di per sé un fattore di rischio maggiore di contagio, allo stesso modo in cui chi soffre di demenza non si ammala più di influenza più della popolazione generale. Però la mancanza di accesso a servizi riservati, sistemazioni abitative adeguate, l’età avanzata, il quadro clinico rendono più vulnerabili i malati, in quanto possono non esser in grado di seguire le raccomandazioni per evitare di contrarre il Coronavirus.

– Nella sua esperienza a capo del Comitato scientifico di Alzheimer’s Association, il confinamento e l’angoscia di adottare comportamenti limitative hanno peggiorato la salute mentale dei malati?

“Alzheimer’s Association ha avuto notizia dai familiari di un significativo declino durante la pandemia di Covid-19. Ricerche riferite ad AAIC 2020 suggeriscono che l’isolamento in questo contesto può avere effetti negativi su certi aspetti della memoria e delle abilità cognitive, sebbene questi studi siano preliminari. L’isolamento sociale aumenta il rischio di depressione ed ansia. È anche associato al più alto rischio cardiovascolare, problemi cognitivi e di salute mentale. In alcuni casi, la separazione dalla famiglia e dagli amici può esasperare i comportamenti legati alla demenza, inclusi la confusione, la perdita di orientamento, l’aggressività. Nella prosecuzione della pandemia è fondamentale sviluppare ed aumentare strategie per riequilibrare l’esigenza di proteggere gli ospiti delle case di cura, ma anche di proteggerli dal malessere dell’isolamento sociale.”

– Come accorgersi che il cervello è in sofferenza?

“Ci sono chiari segnali di allarme dell’inizio della malattia di Alzheimer o altra demenza: la perdita della memoria e la difficoltà di eseguire i compiti quotidiani, cambiamenti dell’umore. Se qualcuno dei vostri cari manifesta questi problemi prendete un appuntamento col dottore.”

– La restrizione della circolazione delle persone ha modificato anche le abitudini nell’attività fisica, nell’alimentazione… Come aiutare l’organismo a superare il momento?

“Non c’è ancora una ricetta comprovata per ridurre il rischio di declino cognitivo, ma l’osservazione ripetuta e consolidata che le persone possono diminuire le possibilità di ammalarsi seguendo uno stile di vita sano. In questo frangente, restando a casa è opportuno adottare alcune cautele. Le elenco per renderle più chiare e memorizzabili. Primo: prendersi cura della salute mentale. Ciò significa gestire lo stress e l’ansia. Meditare o scrivere un diario, ogni giorno, sono esempi di come riuscirsi. Ognuno scelga l’attività con cui sente migliori benefici. Secondo: restare connessi. Grazie alla tecnologia come la video-conferenza ci sono molti modi per sentirsi vicini ad amici e parenti. Ad esempio, programmare un gioco notturno in collegamento. Un impegno sociale supporta la salute mentale. Terzo: porsi delle sfide. Attivare la mente con esercizi che potenziano la concentrazione, come completare un puzzle o fare giochi di strategia. O imparare una lingua straniera o seguire un corso qualunque online. Quarto: fare il pieno di riposo. Mantenere un regolare sonno, senza interruzioni, migliora la salute fisica e psicologica ed aiuta il sistema naturale di ‘pulizia’ delle cellule del cervello. Almeno sette ore per notte. È importante anche imporsi una routine nell’orario di sonno e veglia, dunque a letto sempre alla stessa ora! Quinto: mantenersi attivi. Ci sono tanti esercizi che si possono fare a casa con una piccola attrezzatura o senza. Consiglio di cercare su Youtube video per ogni livello di pratica. O fare una camminata fuori, ricordando di mantenere le distanze sociali. Un regolare esercizio cardiovascolare aiuta ad aumentare la circolazione di sangue nel corpo e nel cervello ed è oramai evidente che l’attività fisica supporta l’attività cognitiva. Sesto: seguire una buona alimentazione. Prepararsi piatti ricchi di frutta e verdure per avere una dieta ben bilanciata. Ma dieta mediterranea e la dieta DASH sono indicate per migliorare la funzione cognitiva e ridurre il rischio di problemi cardiaci.”

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