Medicina
Covid, gli anticorpi restano per almeno otto mesi dal contagio
Sono gli importanti risultati di uno studio dell’IRCCS San Raffaele di Milano
Gli anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 persistono nei pazienti fino ad almeno otto mesi dopo la diagnosi di Covid-19, indipendentemente dalla gravità della malattia, dall’età dei pazienti o dalla presenza di altre patologie. La loro presenza è fondamentale per combattere l’infezione con successo: chi li produce entro i primi quindici giorni dal contagio è a minor rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19.
Sono i due risultati principali di una ricerca condotta dall’Unità di Evoluzione e Trasmissione Virale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, diretta da Gabriella Scarlatti, in collaborazione con i ricercatori del San Raffaele Diabetes Research Institute diretto da Lorenzo Piemonti, che hanno sviluppato un particolare test per gli anticorpi sfruttando le competenze e le tecniche già impiegate per lo studio degli anticorpi coinvolti nella risposta auto-immunitaria alla base del diabete di tipo 1.
Lo studio è pubblicato su Nature Communications e offre importanti indicazioni sia per la gestione clinica della malattia sia per il contenimento epidemiologico della pandemia.
Sono stati seguiti nel tempo 162 pazienti positivi a SARS-CoV-2, con sintomi di variabile entità, che si sono presentati al pronto soccorso dell’Ospedale San Raffaele durante la prima ondata della pandemia in Italia. I primi campioni di sangue sono stati raccolti al momento della diagnosi e risalgono a marzo-aprile 2020, gli ultimi a fine novembre 2020.
Il gruppo di pazienti è composto al 67% da maschi, con un’età media di 63 anni. Il 57% soffriva di una seconda patologia oltre al Covid-19 al momento della diagnosi, l’ipertensione (44%) e il diabete (24%) le più frequenti. Su 162 pazienti, 134 sono stati ricoverati.
Oltre agli anticorpi specifici e neutralizzanti contro SARS-CoV-2, i ricercatori hanno indagato nei pazienti anche la riattivazione degli anticorpi per i coronavirus stagionali (quelli responsabili del classico raffreddore) con l’obiettivo di verificare il loro impatto sulla risposta contro SARS-CoV-2. “Questi anticorpi riconoscono parzialmente il nuovo coronavirus e possono riattivarsi a seguito del contagio, pur non essendo efficaci nel neutralizzarlo,” spiega Gabriella Scarlatti. “Il timore era che la loro espansione potesse rallentare la produzione degli anticorpi neutralizzanti specifici per SARS-CoV-2, con effetti negativi sul decorso dell’infezione.”
La presenza precoce di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 ha una relazione diretta con un migliore controllo del virus e a una maggiore sopravvivenza dei pazienti. Questo è vero nella maggior parte dei casi: il 79% dei pazienti arruolati ha infatti prodotto con successo questi anticorpi entro le prime due settimane dall’inizio dei sintomi. Chi non ci è riuscito è risultato a maggior rischio per le forme gravi della malattia, indipendentemente da altri fattori come l’età o lo stato di salute.
Allo stesso tempo, la presenza degli anticorpi neutralizzanti, pur riducendosi nel tempo, è risultata molto persistente: a otto mesi dalla diagnosi erano solo tre i pazienti che non mostravano più positività al test. La persistenza di questi anticorpi per almeno otto mesi è indipendente dall’età dei pazienti o dalla presenza di altre patologie.
Infine, secondo i dati analizzati dai ricercatori del San Raffaele, la riattivazione di anticorpi pre-esistenti per i coronavirus stagionali non ha alcuna influenza nel ritardare la produzione degli anticorpi specifici per SARS-CoV-2 e non è associata a maggior rischio di decorsi gravi del Covid-19.
“Quanto abbiamo scoperto ha delle implicazioni sia nella gestione clinica della malattia nel singolo paziente, sia nel contenimento della pandemia” sottolinea ancora Gabriella Scarlatti. “Secondo i nostri risultati, infatti, i pazienti incapaci di produrre anticorpi neutralizzanti entro la prima settimana dall’infezione andrebbero identificati e trattati precocemente, in quanto ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia. Gli stessi risultati ci danno però anche due buone notizie: la prima è che la protezione immunitaria conferita dall’infezione persiste a lungo; la seconda è che la presenza di una pre-esistente memoria anticorpale per i coronavirus stagionali non costituisce un ostacolo alla produzione di anticorpi contro SARS-CoV-2. Il prossimo step è capire se queste risposte efficaci sono mantenute anche con la vaccinazione e soprattutto contro le nuove varianti circolanti, cosa che stiamo già studiando in collaborazione con i colleghi del ISS”.