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Milano
Altro che Lombardia come Catalogna: ecco perché i referendum sono diversi
Referendum in Catalogna e in Lombardia

Calcisticamente la Spagna brilla molto più dell’Italia. Ma per quanto riguarda la gestione delle autonomie territoriali noi abbiamo vinto la partita ancora prima di giocare.

E’ la riflessione che sorge spontanea, in vista del referendum che ci vedrà alle urne il prossimo 22 ottobre in Lombardia e Veneto, dopo il brutto spettacolo cui abbiamo assistito domenica nella civilissima Barcellona.

Personalmente credo che il grado di maturità di uno Stato nel gestire le tensioni sociali sia dimostrato dalla capacità di chi governa di trovare soluzioni politiche che prevengano la violenza. Se questa invece addirittura dilaga nel cuore di una moderna metropoli europea vuole dire che chi ha gestito le cose, da una parte come dall’altra, ha fatto degli sbagli. E non solo nella gestione del voto di domenica. Era veramente necessario arrivare a un referendum separatista incostituzionale di stampo evidentemente provocatorio, visto che la sua conseguenza dovrebbe essere un’immediata – e come tale difficilmente gestibile - dichiarazione unilaterale di indipendenza? Sono mesi che il Regno Unito non riesce a capire come muoversi dopo l’infausto esito della Brexit (che, per inciso, fu votato nel pieno rispetto delle regole costituzionali): come potrebbe riuscirci la Catalogna in 48 ore?E vista la palese natura provocatoria del referendum catalano, non era evitabile la brutale reazione della Guardia Civil che ne è seguita? A chi giovano scene come quelle di ieri? Non credo certo al Governo di Madrid: che, già debole di suo, non esce certo bene dalla decisione di manganellare civili inermi. Credo però che neanche chi governa in Catalogna possa gioire: se i rappresentanti istituzionali di una comunità piena di risorse – e di crescita economica - come quella catalana non sono riusciti a gestirne le esigenze di autonomia all’interno dei principi della Costituzione spagnola, credo che dovrebbero seriamente fare una riflessione critica. Altrimenti sarà difficile fare passi indietro dalla brutta china che si è presa ieri.

Ma ha poi veramente senso parlare di secessionismo nel cuore dell’Europa di oggi? Non credo. Nell’era di internet e delle migrazioni di massa le comunità sono fisiologicamente destinate ad aggregarsi, non a separarsi. Questo è un dato di fatto, che ci piaccia o meno. Ciò non toglie che, all’interno di uno stesso Stato, non si possa riconoscere loro autonomia – in particolare nella gestione delle risorse economiche che derivano dal territorio - e identità (e mi sembra difficile dire che già oggi i catalani non ce l’abbiano, visto che la lingua ufficiale è il catalano e non il castigliano). Ma lo si può tranquillamente fare all’interno di un legittimo percorso politico - costituzionale, come l’Italia sta facendo almeno dal 2001, anno in cui fu votata dal Parlamento e sottoposta a referendum popolare la riforma del titolo V della Costituzione in attuazione del principio di autonomia delle regioni.

E’ questa la significativa differenza tra il voto di ieri in Catalogna e quello del prossimo 22 ottobre in Lombardia e in Veneto: l’obiettivo del nostro referendum – sostenuto in modo piuttosto trasversale tra le forze politiche - è attuare e rafforzare le esigenze di autonomia, soprattutto nella gestione degli introiti del gettito fiscale, di due regioni all’interno di un preciso e condiviso dettato costituzionale. In questo senso, peraltro, fino ad oggi è andata anche la comunicazione politica di casa nostra. Anche da parte di chi, solitamente, ama il linguaggio provocatorio. Ed è certo un apprezzabile segnale di maturità.

Guido Camera
Avvocato

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