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Milano, il PCI riscopre i tazebao sessantottini

Milano, il PCI riscopre i tazebao sessantottini

Giustizia sociale, difesa del lavoro, libertà individuale e uguaglianza. Sentimenti e aspirazioni che possiamo trovare condensati nei “Manifesti di Amore e di rabbia”, un raccolta di testi di Francesco Vivacqua (che all’epoca si faceva chiamare Franco) del 1972 “riscoperto” ora da un gruppo di giovani comunisti che ne ha compreso l’attualità a distanza di tanti anni. 

Per chi volesse immergersi in questa atmosfera più che mai attuale e incontrare l’autore l’appuntamento è il 25 settembre dalle 18:00  fino alle 20:00 all’Anfiteatro Martesana in via Agordat (Parco Martiri della Libertà Iracheni Vittime del Terrorismo) di Milano.

Vivacqua, all’interno di una manifestazione organizzata dal PCI, terrà una lectio magistralis sul Manifesto di Marx a sostegno della sua tesi che il “comunismo fa bene anche al capitale e alla finanza”.

“Ciò che mi sorprende, rileggendomi, e posso candidamente confessare che non ne avevo più una copia in biblioteca,  è che sono ancora attuali che, cambiando il modello espressivo, i problemi ci sono ancora e le opportunità non si sono realizzate se non in minima parte”, dichiara Vivacqua parlando della riscoperta del suo testo, che anche nel formato si inseriva pienamente nello stile dell’epoca della contestazione giovanili.

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Un maxi formato quadrato che ben si prestava ad essere utilizzato come tazebao di contestazione e protesta civile. Di quelli, per i più giovani, che venivano appesi nelle aule, sui muri delle fabbriche e dei cortili per gradire la propria rabbia o sul letto di una coppia che amava il romanticismo del sesso.. Una rabbia civile e di contestazione. Non a caso la scrittura e la sua elaborazione risentono fortemente dei temi sociali del ’72, temi tragici legati allo sfruttamento dei lavoratori, e delle donna e, in definitiva, a una visione parossistica del danaro come mezzo per esprimere potere, autorità e libertà di calpestare la dignità della persona.  

“Per l’epoca, erano gli anni ’70, erano parole coraggiose, dissacranti e di denunce, all’epoca, ne ho ricevute centinaia, finite poi nel nulla per scelte di magistrati coraggiosi. Ma non ho mai partecipato alle rivolte studentesche che in quegli anni erano all’ordine del giorno e nemmeno  ai dibattiti sulle mie opere, perché ritenevo che buona parte di quelle rivolte, almeno in Italia, erano organizzate dai figli di papà”, sottolinea l’autore non senza una punta di dispiacere: “Quando sono stato in Francia e Germania invece, per parlare di questa unica opera di un dilettante della poesia, sono andato nelle università e nelle piazze, ma ho rifiutato la richiesta di pubblicare massicciamente il libro perché ritenevo che tutti dovessero essere liberi di fotocopiare ed attaccarsi in casa, in fabbrica in ufficio o in bagno i miei testi”.
 

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Vivacqua  negli anni ha intrapreso attività professionali di successo in campo economico e sociale, ma senza mai abbandonare l'amore per la cultura come strumento di “elevazione e competizione”. Non a caso è presidente dell'Organizzazione no-profit Cultura&Solidarietà, che da molti anni porta avanti progetti legati ai giovani, alle scuole e a chi si batte ogni giorno per dare il proprio contributo alla collettività e che ha istituito la “Stella al Merito Sociale” un riconoscimento, oggi, tra istituzioni, imprenditori e persone comuni.


E se nel ’72 l’autore dichiarava di non credere alla poesia e che le parole dovevano cercare la universalità con mezzi che non fossero un libro, oggi quei brevi componimenti tornano attuali non solo per i contenuti, ma anche per la forma, simili come sono a dei brevi tweet, che ci costringono in poche parole a esprimere quello che dobbiamo dire.



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