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Politica
Andreotti junior: "Moro? Le Br volevano rapire mio padre"

Stefano, quarant’anni in Siemens, ora in pensione, è il terzogenito del pluripremier Giulio Andreotti, sicuramente la figura politica più importante dalla nascita della Repubblica Italiana. Già nel 1944, il “Divo”, fu nominato delegato nazionale del Movimento Giovanile della neonata Democrazia Cristiana, da dove avviò una carriera istituzionale straordinaria. Ricoprì numerosi incarichi sia a Palazzo Chigi che in vari dicasteri. E’ stato Presidente del Consiglio per ben 7 volte, otto come Ministro della Difesa, cinque agli Esteri, tre alle Partecipazioni Statali, due alle Finanze, e poi Bilancio, Industria, Tesoro, Beni Culturali, Politiche comunitarie e Viminale. Un curriculum senza precedenti e mai eguagliato. Dal 1948 al 1991 ha ininterrottamente svolto l’attività di Deputato e dal 1991 quella di Senatore a vita. Cattolico, profondamente attaccato alle tradizioni del Paese è stato - all’unanimità - considerato anche all’estero il migliore tra i nostri leader. Strettissimi i rapporti con gli alleati e il Patto Atlantico così come “attenti” i delicati contatti con il Mediorente e la sensibile questione Palestinese. Negli ultimi anni il suo nome è balzato alla ribalta dell’opinione pubblica anche per le vicende giudiziarie. Prescrizione per i fatti avvenuti fino al 1980 e assoluzione per gli anni successivi. Muore a Roma il 6 maggio 2013, all’età di 94 anni. Prolifiche le passioni per la filantropia e la saggistica e numerose le pubblicazioni di sua firma. Al figlio abbiamo fatto alcune domande, sia per addentrarci in quello che fu l’aspetto prettamente famigliare e umano che per tutte le altre sfaccettature del personaggio pubblico.

 

Stefano Andreotti, innanzitutto grazie per la disponibilità. Ci può brevemente descrivere i due volti di suo Padre? Il “Giulio” degli italiani e quello visto con gli occhi di un figlio.

In famiglia è stato un ottimo marito, un grande padre e nonno. Non poteva certo lasciare agli affetti familiari tanto tempo (lo dedicava quasi tutto compresi sabati e buona parte delle domeniche al lavoro), ma quello che non dava in quantità, lo recuperava con la qualità del rapporto. Ci ha sempre seguito con attenzione ed amore e certamente era molto diverso dall’immagine distaccata e anaffetttiva che qualcuno gli ha attribuito.

 

Quale, secondo lei, il segreto di cotanto (e longevo) successo in campo politico? Come sappiamo non era un grande parlatore. Silenzioso, a tratti ironico, ma molto attento alle etichette. Non un “urlatore” come spesso accade (e va di moda) in questo periodo. Rispettoso per le istituzioni, non esageratamente empatico, eppure il “suo” popolo lo ha sempre amato.

 

Della descrizione data sarei d’accordo su tutto tranne che sul non grande parlatore e sul silenzioso. Il segreto della sua longevità politica credo sia stato innanzitutto dovuto alla coerenza, serietà e impegno mostrati in tutti i campi nei quali si è trovato a muovere e nel non aver mai perso la semplicità di fondo che gli derivava dalla sua estrazione di ‘popolano romano’ della quale andava fiero.

 

Andiamo alla vicenda Moro. Suo padre, nel corso di questi ultimi quarant’anni, fu spesso accusato di non aver fatto abbastanza per la liberazione dell’ex Presidente DC. Ci furono vedute contrastanti anche con Francesco Cossiga, allora Ministro dell’Interno. Cossiga e Fanfani sembravano “pendere” verso un accordo per il rilascio e suo padre si impuntò sulla fermezza? E’ così che è andata? E se ciò corrisponde a realtà perché lo fece?

Va innanzitutto detto che la fine di Moro, al quale era legato da amicizia fin dai tempi dei primi passi nella politica, fu uno dei veri grandi dolori della sua vita. Certamente la posizione di fermezza derivava dalla convinzione di non poter dare riconoscimento come Stato alle organizzazioni eversive, anche nel rispetto delle famiglie dei poveretti che avevano perso la vita. La posizione di assoluta fermezza era comunque condivisa allora in primo luogo da Cossiga, ma anche da tutte le forze politiche a partire dai comunisti. Certamente ci fu grande impreparazione nell’affrontare il fenomeno, ma le polemiche sulla fermezza furono tirate fuori postume. Va ricordato anche che, come riferito da alcuni brigatisti, l’obiettivo del rapimento doveva essere o Moro o mio padre e che fu scelto il primo per ragioni logistiche dell’agguato.

 

Cosa, suo padre, pensava di questi “colleghi”? Telegraficamente ci può associare ad ogni nome un parare personale di Giulio?

 

Forlani: un cavallo di razza dall’andamento regolare, Craxi: dopo le incomprensioni iniziali, conosciutolo meglio nel periodo di ministro degli Esteri dei suoi governi, una grande stima come politico dal grande intuito e straordinarie volontà e capacità, Fanfani: qualche problema di coesistenza nella DC con un cavallo comunque di grande razza, Cossiga: un grande rapporto di amicizia e stima, Reagan: alla diffidenza iniziale per la provenienza dal mondo della spettacolo l’apprezzamento per le doti da grande leader mondiale, Berlusconi: grande considerazione e riconoscimento, anche se non gli andava a genio che continuasse a parlare di ‘voi politici’.

 

Ci risulta che i rapporti di Andreotti con Arafat erano buoni. Tant’è che questo stretto canale fu usato anche per la burrascosa crisi di Sigonella. Andreotti Ministro degli Esteri che andò a trattare con i Palestinesi per la liberazione dell’Achille Lauro. Non trova discordanza con l’alleato storico che erano gli USA? Strenui nemici proprio di Yasser, considerato il deus ex machina del terrorismo di quegli anni.

 

Mio padre ebbe come pietre miliari della sua politica il credo nell’Europa e nell’Alleanza Atlantica, alleati non voleva però voler dire subordinati. La sua politica estera fu quella della ricerca ‘ad ogni costo’ della pace nel mondo; di qui le migliaia di azioni, molte sconosciute, a favore del disarmo, della mediazione dovunque ci fossero conflitti e del sostegno allo sviluppo delle popolazioni del Terzo Mondo, per le quali auspicava una migliore distribuzione della ricchezza mondiale. In questa ottica va inquadrato Arafat che mio padre considerava fondamentale portare alla moderazione per la soluzione della questione mediorientale.

 

Ci racconta qualche piccolo aneddoto “casalingo” che vi lega? Un piacevole ricordo, la passione per la scrittura, un particolare espediente con sua madre o quel che le viene nostalgicamente in mente.

Quel che più di tutto ricordo con nostalgia sono gli appuntamenti del pranzo domenicale a casa dei miei al quale immancabilmente partecipavamo noi fratelli e più tardi i nipoti. Si parlava di tutto, si raccontava la settimana, si scherzava; anche in famiglia a nostro padre piaceva usare battute e magari ogni tanto bonariamente prendere in giro nostra madre.

 

Mani pulite spazzò via tutto e tutti. Craxi pagò un prezzo altissimo. I principali partiti sparirono. Come giudicò suo padre a posteriori l’intera vicenda di Tangentopoli? Lui personalmente si salvò, a differenza di Bettino, ma la grande e gloriosa DC venne distrutta. Rammenta qualche esternazione in merito?

 

Certamente mio padre non fu direttamente coinvolto, perché non aveva avuto, se non nelle primissime esperienze, ruoli direttivi nella Democrazia Cristiana e non si era occupato quindi di finanziamenti. Comunque lui cercarono di eliminarlo con altri metodi, anche più infamanti.

 

Le ha mai parlato dei rapporti con Licio Gelli? O le spiegò mai, in confidenza, perché decise di sacrificare Gladio? Altra frattura con Cossiga, che per questo si dimise anticipatamente dal Quirinale.

 

Di rapporti con Gelli come di altre figure si è detto molto e mio padre non ne dette mai eccessivo peso, sentendosi a posto con la propria coscienza e ritenendo le polemiche relative solo calunnie, alimentate dalla insofferenza di alcuni per la sua lunga permanenza in posizioni di vertice. Decise di parlare di Gladio (organizzazioni simili esistevano dal primo dopoguerra in tutti i paesi occidentali in contrapposizione a quelle dei Paesi dell’Est) quando ormai era superata la guerra fredda e non riteneva logico continuare a tenere in piedi un qualcosa di inutile e che costituiva solo un costo per lo Stato. D’altra parte mio padre non ebbe mai troppa confidenza e cercò di occuparsi sempre il minimo necessario con i servizi segreti.

 

Molti, oggi, alla luce anche della gravosa situazione economica che attanaglia la Nazione, rimpiangono i periodi in cui suo padre era al “comando” di un’Italia che viveva nel benessere e che sicuramente di penuria lavorativa v’era poca traccia. Bravi quei politici e incompetenti gli attuali? C’è chi sostiene che lo spessore è un po’ diverso.

Mi ha molto divertito una frase di Osho che ho letto recentemente apposta su una fotografia di Craxi e di mio padre: ‘Ve mancamo eh….’.

 

Pomicino, Evangelisti, Sbarella, Ciarrapico e naturalmente Giulio. Questa era la “corrente primavera”, partita in sordina nel partito e poi divenuta maggioranza all’interno di esso. Una “squadra” potente, operativa, con milioni di voti in mano. Ha dei ricordi personali di questo gruppo?

Non credo che la corrente sia mai stata maggioranza nella Democrazia Cristiana, quello che posso dire è che mio padre considerava le correnti quasi un ‘male necessario’ in un’organizzazione che raggruppava tante anime diverse; la Democrazia Cristiana fu comunque per lui una seconda casa, con il riferimento di De Gasperi a guidarlo lungo tutta la sua vita, e non considerò mai i colleghi di partito nemici.

 

Se ancora in vita sarebbe stato, secondo lei, un tifoso del Governo Giallo-Verde (M5S-Lega), del Governo Giallo-Rosso (M5S-PD) o di nessuno dei due?

Sono cambiati i tempi, ma la politica di oggi penso farebbe fatica ad apprezzarla.

 

Come avrebbe giudicato suo padre le politiche salviniane sull’immigrazione e come le giudica lei?!

Credo che la posizione di mio padre sarebbe stata molto simile a quella della Chiesa Cattolica, che non vuol dire aprire indiscriminatamente i confini, ma affrontare il problema innanzitutto con umanità.

 

Come avete vissuto in famiglia il (presumiamo) difficile periodo del calvario giudiziario? L’accusa era delle più gravi. Ve ne parlava? C’era preoccupazione in casa?

 

Sul periodo processuale, al di là di considerazioni su come il tutto venne gestito, che non si possono certo limitare in poche osservazioni (e sull’argomento ci sarebbe molto da dire), va però precisato che non si ricorda quasi mai che i processi furono due, quasi gemelli, e che in quello per omicidio del giornalista Pecorelli a Perugia mio padre fu definitivamente assolto per non aver commesso il fatto. Riguardo a quello di Palermo la sentenza di primo grado si pronunciò per l’assoluzione, quella di appello per la prescrizione per i fatti avvenuti fino al 1980 e per l’assoluzione per il periodo successivo (riconoscendo tra l’altro da quel momento una particolare azione di lotta alla mafia di Riina ugualmente quasi mai ricordata). Per la sentenza di Cassazione, che ha messo fine all’interminabile vicenda, ’i giudici dei due gradi di merito sono pervenuti a soluzioni diverse’, ma non rientra tra i compiti della Corte ‘operare una scelta tra le stesse’; i giudici di legittimità, valutando le motivazioni della Corte d’Appello, non solo hanno sentito il dovere di precisare che la ricostruzione e la valutazione dei singoli episodi è stata effettuata in base ad apprezzamenti ed interpretazioni che possono anche non essere condivise’, ma hanno addirittura aggiunto che agli apprezzamenti e alle interpretazioni della Corte d’Appello ‘sono contrapponibili altre dotate di uguale forza logica’. Ignorare alcuni atti processuali e continuare a parlare solo di prescrizione credo sia quanto meno limitativo. Tornando però alla domanda posso dire che il periodo processuale, durato dodici anni, è stato effettivamente un calvario per lui e per tutti noi; dopo un primo periodo di smarrimento iniziale, nostro padre però reagì, grazie al sapere di avere la propria coscienza a posto, alla fede che lo ha sempre sorretto, al sostegno della famiglia e a quello di tante persone che gli stettero vicino e in particolare a quello ricevuto in più occasioni dal Papa e da Madre Teresa di Calcutta. Senza urlare accettò la prova con il massimo rispetto delle istituzioni e la svolse quasi come fosse un lavoro da affiancare a quello di parlamentare che continuò a diligentemente espletare.

 

Come vedrebbe oggi suo padre quest’Europa un po’ “malandrina” e un po’ refrattaria verso i nostri governi? Era un’europeista convinto o qualche “dubbio” se l’è portato con se?

Come già detto l’Europa Unita è stata una delle componenti fondamentali della sua politica, per la quale si è sempre battuto cercando di farla uscire da una dimensione esclusivamente economica. Certamente si batterebbe per adeguarla ai tempi cambiati, ma ne resterebbe paladino più che convinto.

 

Stefano, siamo in conclusione. Sinceramente, come vede il futuro politico dell’Italia? Le chiediamo massima sincerità.

Lo vedo, credo come tutti con preoccupazione, per un Paese che non riesce più da tempo a crescere e a dare sopratutto ai giovani valide prospettive. La politica spesso urlata e magari non troppo preparata di oggi dovrebbe lasciare il posto ad una in grado di riacquistare il ruolo fondamentale che in una democrazia dovrebbe avere; spero sempre che nel panorama italiano si affacci qualcosa di nuovo, ma per il momento non vedo grande luce.

 

 

 

 

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