Politica
Caso Savoini, se Matteo il “capitano” dismette i panni di capitan Fracassa

In cerca di rilancio, armato di ironico livore, avvoltoio in picchiata, ecco Matteo Renzi aggregarsi al roboante e multicolore coro anti Salvini dopo l’inchiesta sui presunti fondi di Mosca alla Lega. Ieri al teatro milanese dell’Elfo, l’ex premier ed ex segretario Pd, nella affollata convention dei “suoi” comitati civici in cui lancia la campagna per riprendersi il partito, parla in russo: “Tovarish Salvini, glasnost”. E giù applausi. La voglia di tornare in campo è forte e questo nuvolone che annuncia tempesta sulla Lega è manna dal cielo per chi punta a strumentalizzare l’inchiesta BuzzFeed per tentare di fermare Salvini. Quel Salvini con il vento in poppa (in crescita, al 55% degli indici di gradimento degli italiani secondo l’ultimo sondaggio Demos) anche dopo la vittoria delle elezioni europee e di quelle in molti comuni. Dal Pd si spara ad alzo zero: “Un ministro dell’Interno che non sa chi c’è seduto accanto a lui in un vertice internazionale o è un bugiardo oppure non è adeguato a garantire l’ordine pubblico del Paese”.
E’ così? Comunque, al di là dell’uso politico grossolano, la bega Savoini non è questione di lana caprina, da liquidare con un’alzata di spalle o con una battuta. E’, caso mai, il classico “trappolone” all’italiana, non privo di ricatti e contro ricatti, per fermare l’avversario politico considerato “nemico” da abbattere. L’iter giudiziario avrà il suo corso. Ma l’inciampo politico c’è e pesa. Per il 58% degli italiani questo è un” caso grave” per cui le conseguenze politiche sono tutt’altro che scontate e al leader leghista non basta scaricare il faccendiere indagato Savoini per chiudere, almeno politicamente, la matassa ingarbugliata. Fatto sta che il fattaccio getta altra benzina sul fuoco della politica italiana alimentando la rissa permanente e inconsulta nel governo (lo stesso premier Conte tira fuori il cartellino giallo al ministro dell’Interno che non può gestire da solo la questione sbarchi-immigrati) e fra i due principali partiti che lo sostengono (non a caso il M5S ha subito rialzato la testa puntando anche a una Commissione d’inchiesta sui finanziamenti a tutti i soggetti politici e fondazioni collegate) e illudendo le opposizioni, in primis il Pd, decisi a battere sul caso rovente fra insulti e derisioni nella logica del tanto peggio tanto meglio.
Questo Russiagate, più che togliere baldanza al capo leghista, lo porta ad alzare ancora di più la voce per ribadire che il suo progetto politico non si ferma, che non sarà certo un Savoini qualsiasi a cambiare il corso della storia. Sullo sfondo si staglia l’ombra di Craxi e la sua piccata arrogante derisione sul mariuolo Mario Chiesa. Sarà il tribunale ad accertare se in questa vicenda ci siano reati o meno. Ma i tempi della giustizia non sono i tempi della politica e tanto meno i tempi delle campagne elettorali. In autunno si vota in due importanti regioni, Umbria e Calabria, e poco dopo, a gennaio 2020, si vota in Emilia-Romagna. Potrebbero essere questi i due momenti-spartiacque di questa fase politica, addirittura aprire in Italia una nuova fase storica. Se la Lega vince nelle regionali d’autunno e, soprattutto, se il Pd perde il potere nella rossa Emilia, tutto cambia anche a livello nazionale. A quel punto a Salvini non resta che rompere gli indugi e puntare diritto alle elezioni politiche anticipate nella primavera 2020. Con il M5S spolpato e con il Partito democratico “demolito” anche per il rinfocolare della guerra intestina, Salvini può fare il pieno alle urne e guidare poi un vero governo di svolta per il Paese. Utopia? Si può fare. Ma solo se si evita di rovinare a terra per la buccia di banana del caso Savoini&C. E se Matteo il “capitano” dismette i panni di Capitan Fracassa.