Coronavirus, a Conte serve un ufficio stampa - Affaritaliani.it

Politica

Coronavirus, a Conte serve un ufficio stampa

L'opinione di Santo Fabiano

Coronavirus, fase 2: dalla restrizione alla confusione

In una conferenza stampa annunciata con diverse ore di anticipo e della durata di 30 minuti, dei quali i primi 15 senza alcuna indicazione concreta, ma ricca di giustificazioni delle “nuove” scelte, il popolo italiano ha appreso dell’avvio di una fase che ha un nome diverso, come promesso, ma le stesse restrizioni, a differenza di come era stato assicurato. Così, a conclusione dell’intervento del Presidente del Consiglio, nel Paese si è manifestato una nuova forma di contagio: la delusione. Ma soprattutto, per chi vorrà applicare le misure e dovrà barcamenarsi tra le prescrizioni, un reale stato di confusione.

La delusione sembra avere sostituito l’attenzione verso i “pazienti” alla preoccupazione verso gli “impazienti”, ma non è soltanto frutto della frenesia degli italiani, quanto della maldestra della gestione della “comunicazione istituzionale” che ha portato il Governo a utilizzare i media in modo esclusivo e prevalente, quasi in concorrenza rispetto i notiziari e le testate giornalistiche.

Basti pensare all’approdo delle conferenze su facebook che si può vedere come avvicinamento verso il popolo, ma anche come pretesa di costruire un “canale diretto”, anche se ci può discutere sulla scelta del social network che non raccoglie certamente la totalità della popolazione.

Dispiace rilevare che il canale diretta è la scelta che caratterizza alcuni regimi che, non riconoscendo alcun ruolo agli organi di stampa, preferiscono comunicare evitando la “mediazione dei Media” e la loro propaganda. E potrebbe essere una scelta corretta se le conferenze dirette al popolo contenessero informazioni utili e concrete e durassero giusto il tempo di fornire comunicazioni sulle decisioni assunte. Ma così non è. E ogni volta che la conferenza si chiude parte la rete delle telefonate e dei messaggi tra gli amici che si chiedono: ma che cosa si è detto?

Ma c’è anche un altro punto che non deve essere sottovalutato: questo originale impegno nelle relazioni verso i cittadini, non si è però manifestato nei confronti delle altre istituzioni, comprese quelle che sono in prima linea a dovere affrontare i problemi reali del quotidiano. Si ha la sensazione che le decisioni vengano assunte nel chiuso di una stanza, nel corso di incontri con persone individuate, per conoscenza diretta, per la probabile esperienza e con l’emanazione di atti la cui capacità di costrizione non ha uguali nella storia repubblicana. Ma soprattutto che mettono in crisi le altre istituzioni che, oltre a non essere coinvolte nelle decisioni, si trovano costrette a emanare provvedimenti per il territorio di competenza, che improvvisamente, dopo una diretta su facebook si scoprono in contrasto con le prescrizioni governative.

Proprio in questi giorni in diverse regioni, come il Piemonte, la Liguria, la Campania, il Veneto, ecc. i Sindaci sono stati costretti a scrivere a ogni istituzione disposta ad ascoltare per avere indicazioni concrete sulle norme da attuare. Così siamo nel paradosso per il quale una regione, con propria ordinanza, ha autorizzato la libera circolazione, anche a cavallo, mentre il Governo ha mantenuto gli stessi limiti precedenti. Quale dei due provvedimenti prevale sull’altro? Per dipanare la questione è intervenuto lo stesso Presidente della regione (che qualcuno chiama “governatore” come se fossimo negli USA) che, con un altro atto ha ribadito la sua competenza. Ma le istituzioni statali non sono d’accordo. E allora diversi sindaci hanno dovuto emanare una propria ordinanza per comunicare che si discosteranno dall’ordinanza regionale per dare attuazione al DPCM. Insomma, una confusione “pandemica” che nona aiuta la convivenza civile e trasferisce l’attenzione alla prevenzione nel terreno dello scontro politico.

C’è un modo semplice per evitare tutto ciò: riavviare il dialogo con le istituzioni, con le regioni e con i comuni. Senza nulla togliere al ruolo degli esperti, le decisioni, in Paese democratico si prendono nelle sedi e nelle forme che assicurano la giusta rappresentanza del popolo e dei territori in cui si articola.

Tutto ciò servito con la consueta rassicurazione nell’ora di cena, con palesi finalità sedative, come se i bisogni di salute, impresa, occupazione, circolazione, relazioni, attività, fossero capricci la cui realizzazione può attendere.