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Politica
Coronavirus, l'Unione europea? Ripartiamo dalla carta igienica di Spinelli

“Nell'Unione Europea la Banca Centrale e la Commissione, nei giorni scorsi, hanno assunto importanti e positive decisioni finanziarie ed economiche, sostenute dal Parlamento Europeo. Non lo ha ancora fatto il Consiglio dei capi dei governi nazionali. Ci si attende che questo avvenga concretamente nei prossimi giorni”. Dopo più di due settimane dalla reazione alla gaffe mediatica di Christine Lagarde, il Capo dello Stato, in un messaggio alla Nazione, stracolmo di empatica umanità per un popolo che vede decimate, senza possibilità di commiato, i punti di riferimento più saggi e più fragili di tante famiglie, torna anche a parlare di Europa.

E lo fa mettendo a nudo quello che da sempre è stato il profilo più fragile del processo di integrazione europea, la sua dimensione intergovernativa, in cui gli Stati membri, e la loro paura a rinunciare a porzioni della propria sovranità nazionale, possono rallentare e frustrare i tentativi di accelerazione della Commissione (e del Parlamento europeo) verso un’Unione più forte e unita. Il riferimento del Presidente della Repubblica non a caso è all’organo a trazione più intergovernativa (leggasi proiezione europea delle posizioni nazionali) dell’Unione, quel Consiglio europeo, costituito dai Capi di Stato e di governo, che giovedì scorso si è spaccato, ed ha rinviato ogni decisione sul punto, intorno alla possibilità di un rilancio europeo, prima ancora che sul terreno economico, su quello culturale relativo alla condivisione del debito e dei rischi di una crisi senza precedenti.

Insomma, una vittoria degli interessi nazionali sulla solidarietà europea. Il tutto, soltanto apparentemente in via paradossale, a danno degli Stessi stati che tali interessi rivendicano. Non è un caso che il Presidente Mattarella ritorni fortemente sul punto dell’interesse comune, già evocato nel primo messaggio. “La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell'Unione, ma è anche nel comune interesse cosi come aveva fatto anche nel suo primo messaggio”. Interesse comune che è proprio poi quello alla sopravvivenza: a non affondare da soli, ma salvarsi insieme. Non è ovviamente la prima volta in cui egoismi nazionali rischiano di compromettere slanci di solidarietà dell’Unione. Basti ricordarne due.

Il primo, nel momento fondativo, quando nel 1954, il progetto di Comunità Europea di Difesa in cui Alcide De Gasperi aveva iniettato, insieme ad altri, la visione federalista di Spinelli, si scontrò contro l’ego ipertrofico di De Gaulle, che definì quel progetto una babele politica. Fu proprio una reazione a quel fallimento l’adozione della politica dei piccoli passi inspirata da Jean Monnet che portò al primo obiettivo dell’integrazione economica della Comunità. Cosi come, poco più di 10 anni dopo, la crisi della “sedia vuota” in seno al Consiglio che di fatto provocò uno stallo della Comunità, fu sempre aperta dai francesi che reagirono in senso sovranista alla proposta avanzata dalla Commissione  di rafforzare il ruolo del Parlamento europeo di estendere il ricorso a votazioni a maggioranza qualificata.

Bene (anzi male). Oggi, in questa crisi ben più temibile rispetto a quelle evocate, la più profonda, come è stato detto da molti, dal dopoguerra, non ci si può permettere alcuna reazione sovranista, ma soltanto un forte slancio solidaristico. In ballo non vi è soltanto la stessa esistenza dell’Unione europea, ma la tenuta di tutti e di ciascuno degli Stati membri. Il grido di allarme di Mattarella arriva forte e chiaro: “Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l'Europa”. E l’unico modo per affrontare la minaccia è tornare alle origini del progetto di integrazione. Ricorre spesso in questo periodo il riferimento alla guerra che si sta combattendo con il virus.

Ebbene, si combatteva un altro tipo di guerra quando nel 1941 Altiero Spinelli, a Ventotene, probabilmente su rotoli di carta igienica, scriveva il Manifesto ed, in particolare, proponeva un superamento della Società delle Nazioni, il cui più grande fallimento era stato quello di non aver saputo evitare lo scoppio della seconda guerra mondiale. E aggiungeva: “il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”. Si può dire che l’Unione europea, cosi come si presenta oggi ha fallito, non ovviamente nell’evitare, vista la diversa natura, questa guerra, ma nell’affrontarla con spirito unitario e solidaristico, al di là degli interessi dei singoli stati membri.

Forse è proprio dal quel rotolo di carta igienica che bisogna ripartire.  Ma bisogna farlo subito, perché potrebbe non esserci una seconda occasione. L’alternativa non è il mantenimento di un simulacro fittizio di solidarietà apparente che nasconde egoismi autentici, ma la tabula rasa.

 

 

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