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Politica
Csm, una riforma eccessiva.La maggiore trasparenza rischia di essere soffocata

Caro direttore, ti chiedo ancora ospitalità per alcune osservazioni alla bozza del disegno di legge delega del governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm, anticipato ieri da Affaritaliani.it e già commentato acutamente da Antonio Amorosi.

A costo di essere ingenuo vorrei tuttavia segnalare alcuni aspetti che a me sembrano positivi, sebbene vada giudicato negativamente, ancor più di quanto non abbia scritto ieri a proposito della proposta annunciata dalla Lega, il metodo di appesantire una riforma urgente con la pretesa di una complessiva riforma della giustizia. Per dirne solo una, c’è perfino una delega (generica) al governo, finalizzata alla «accelerazione della definizione e contenimento della durata dei procedimenti civili», per la quale lo stesso governo, all’inizio dell’anno, ha già presentato una ben più ampia delega della quale, il 3 marzo, il Senato ha iniziato l’esame (poi interrotto dalla nota emergenza sanitaria). Sembra una leggerezza, ma è molto più che una sciatteria e fa pensare allo zavorramento che diluisce tutto grazie al passare del tempo.

In sostanza metà provvedimento - dieci articoli su 24 - conferisce tre deleghe al governo, in materia di ordinamento giudiziario (la più ampia); incompatibilità dei magistrati, sia ordinari che di tutte le altre giurisdizioni, che abbiano svolto o si siano candidati a funzioni elettive; ordinamento giudiziario militare. Le deleghe, con uno o più decreti legislativi, devono essere esercitate entro un anno dall’approvazione della legge, e possono perfino essere corrette nei due anni successivi (la cosiddetta “delega lunga” prevista per i codici e le grandi riforme ordinamentali).

Si comprende bene che una riforma del genere, al di là dei suoi pregi e difetti, impegnerebbe il Parlamento per non meno di un anno, travolgendo (a meno che non si provveda con successivo stralcio) anche le regole sul Consiglio superiore della magistratura, che invece sono davvero urgenti, e comunque dovrebbero operare entro due anni se anche si volesse portare al suo compimento naturale l’attuale consiliatura.

Rispetto a quanto ho scritto qui giovedì scorso (https://www.affaritaliani.it/politica/partiti-correnti-primarie-e-consigli-per-la-riforma-del-csm-675354.html) sul tema generale dei rapporti politica-giustizia e sul peso delle correnti, accolgo favorevolmente la nuova procedura prevista per le nomine dei capi degli uffici direttivi da parte del Csm, che dovrà seguire le regole del procedimento amministrativo (legge 241/1990) incluso il diritto di accesso e la pubblicità degli atti. Ed è prevista anche l’audizione dei candidati (non è detto esplicitamente che le audizioni debbano essere pubbliche, ma lo sarebbero almeno gli atti e il testo potrà essere migliorato). Tuttavia questa novità è scritta nella delega, non negli articoli che entrerebbero immediatamente in vigore, quindi vedrebbe la luce non prima di qualche anno (e si potrebbe anche temere, l contrario, che il testo possa essere... peggiorato).

In sintonia con questa maggiore trasparenza, l’audizione è prevista anche da parte del Parlamento per i candidati componenti “laici” del Csm. Si aggiunga il divieto di candidatura per chi ricopra, o abbia ricoperto nei cinque anni precedenti, cariche elettive o di governo dal livello europeo fino a quello regionale, nonché di presidenza provinciale o di sindaco in città con oltre 100 mila abitanti. Si torna alla fisiologia costituzionale, secondo la quale i componenti “laici”, ripete lo stesso disegno di legge, «sono scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio professionale». Non basta che sia scritto, ma è un passo avanti importante.

Il sistema elettorale dei componenti togati, purtroppo, non prevede le “primarie”. Ma forse è eccessivo dire che tutto il potere resta alle correnti. I collegi sono 19, dei quali 17 territoriali, uno eterogeneo, che include fuori ruolo, Massimario, procura nazionale antimafia, e grado di appello di Roma; e uno della Cassazione, che elegge due componenti (i quali si aggiungono ai due diritto). Ogni collegio territoriale, più quello “eterogeneo”, elegge un solo candidato e, almeno a prima lettura, non c’è alcuna distinzione fra giudici e pubblici ministeri, sia nelle candidature sia nell’eleggibilità. Si possono esprimere tre preferenze, e solo in caso di maggioranza assoluta il vincitore è eletto al primo turno; altrimenti vanno al ballottaggio i primi due, ma il sistema tiene conto (con una ponderazione dei voti ricevuti al primo turno) dell’ordine di preferenza sulla scheda: in pratica il più votato, ma che fosse stato indicato soprattutto al terzo posto in ordine di preferenza, e non avesse ottenuto la maggioranza assoluta al primo turno, potrebbe essere escluso anche dal ballottaggio.

Certo, un sistema di alleanze e di correnti potrebbe essere applicato al nuovo sistema, con una desistenza nei collegi in cui si sia deboli, in cambio di un apporto di voti in collegi in cui il proprio elettorato sia più consistente. Ma a me sembra un passo avanti. Anzi, c’è da aspettarsi la reazione dei pubblici ministeri i quali, essendo un quinto del totale, potrebbero essere sottorappresentati. Attualmente i candidati magistrati di cassazione, quelli giudicanti e i pubblici ministeri compongono tre collegi unici nazionali; ma ogni magistrato esprime un voto per ciascuno dei tre collegi. Quindi tutti partecipano all’esito, mentre le quote “funzionali” sono garantite. In futuro non ci sarebbe alcuna garanzia nel rapporto fra giudici e pubblici ministeri. Il totale dei componenti sale da 24 a 30, probabilmente anche per i compiti più complessi attribuiti al Csm.

Tutta la parte della delega, infatti, prevede sistemi di valutazione dei titoli e delle esperienze - e poi della gestione effettiva - molto dettagliati; nonché programmi di gestione del settore penale che devono essere presentati dal capo dell’ufficio e approvati dal Consiglio (come già avviene, del resto, attualmente per le cosiddette “tabelle” anche nel settore giudicante). Però cresce il peso dell’anzianità, ed è perfino previsto che non ci si possa candidare ad un ufficio direttivo con un’anzianità troppo inferiore rispetto al candidato più anziano: a pensar male, basta convincere alla candidatura magistrati anziani anche non seriamente intenzionati ad accettare una specifica sede, per scremare automaticamente buona parte delle candidature potenziali. Un criterio, anche quando non sia pilotato, troppo casuale per non essere considerato iniquo.

Il lungo dibattito sull’attuale esclusione degli avvocati e professori componenti dei Consigli giudiziari territoriali dalle valutazioni periodiche di professionalità, trova parziale rimedio nel riconoscimento del cd. “diritto di tribuna”: possono assistere alle discussioni e deliberazioni, senza diritto di voto. È un piccolo passo, al quale la maggioranza della magistratura si era finora opposta.

Molto resta da vedere e analizzare, ma parliamo di un testo che potrebbe essere modificato, anche profondamente, prima ancora di essere deliberato dal Consiglio dei ministri e poi (come ormai siamo abituati da troppi governi negli ultimi anni) prima di essere presentato alle Camere. Dunque è meglio attendere gli sviluppi, senza eccessivi pregiudizi ma con una avvertenza: sul piano tecnico i magistrati sono bravissimi a scrivere le norme, e anche questa è in gran parte farina del loro sacco. Ma nel quadro emergenziale che si è delineato, forse occorrerebbe un po’ di self restraint: fra scrittura del disegno di legge, redazione dei successivi decreti delegati (uffici ministeriali retti da fuori ruolo), parere dello stesso Csm (e non solo del Parlamento) sugli schemi di decreti delegati, perfino con più tempo a disposizione rispetto alle Camere (45 giorni anziché 30), i due anni successivi per dettare “disposizioni integrative e correttive”, modalità attuative in buona parte rimesse allo stesso Csm, questa riforma (come le precedenti, del resto) nasce “commissariata” dalla magistratura, che pure ammette il peso delle attuali correnti sul suo operato, almeno quello extragiurisdizionale: normativo e di autogoverno.

Non sarebbe meglio un provvedimento snello, senza deleghe, affidato al Parlamento, con una forte presenza del governo? Potrebbero fare peggio, non c’è dubbio. Ma in questo momento due punti dovrebbero prevalere su tutti: assunzione di responsabilità (ognuno le proprie), rispetto dei limiti, trasparenza delle procedure.

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