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Politica
Draghi al Colle: per gli economisti internazionali è "fit" per il Quirinale

Draghi al Quirinale, ma evitando le elezioni anticipate

L'idea che sia Mario Draghi il prossimo Presidente della Repubblica sembra davvero intrigare i mercati internazionali, ma bisogna evitare le elezioni anticipate. A dirlo in modo esplicito è un'analisi dell'economista Guido Giorgio Bodrato (della Berenberg, la più antica banca tedesca), la quale evidenzia tre possibili scenari, riportati dalla Reuters. Il primo viene efficacemente definito “business as usual” e raffigura il percorso che lo stesso Draghi ha indicato con una certa chiarezza: il Premier si trasferisce al Quirinale, lasciando la poltrona di Palazzo Chigi a un sostituto che potrebbe essere individuato tra i ministri del suo governo. Secondo Bodrato, “l'Italia potrebbe così godere di un quadro politico relativamente stabile nel 2022, all'avvio del settennato di Draghi come Presidente della Repubblica”.

Ben altre conseguenze sul quadro economico avrebbero invece le elezioni anticipate, visto che “con i sondaggi che prospettano un sostanziale pareggio, le elezioni politiche che si svolgerebbero a primavera inoltrata potrebbero aprire un nuovo periodo di incertezza politica”. Per questo viene delineato anche un terzo scenario (“piuttosto improbabile”), nel quale il Parlamento non accetta la visione di Draghi sul governo che può continuare anche senza di lui e il nuovo Presidente della Repubblica che comunque ritarda il più possibile lo scioglimento delle camere, “lasciando il traghettatore in carica”.

 

Perché Draghi è "fit" per il Quirinale


Certamente non sorprende il fatto che all'estero Draghi goda sempre di enorme stima. La sorta di endorsement di Bodrato segue di poche ore quello di Bill Emmott, autore del libro “Good Italy, Bad Italy”, nonché ex direttore dell'Economist. Risale proprio alla sua direzione la celebre copertina del 2001, sulla quale si sosteneva che Silvio Berlusconi fosse “unfit” (inadatto) a guidare l'Italia. Alla vigilia del discorso di Draghi, il giornalista britannico è tornato a scrivere sull'Economist del capo del governo italiano in carica, ma questa volta con toni decisamente diversi: “Il modo migliore nel quale Draghi può rendere un servizio al suo Paese è diventare Presidente della Repubblica”. Definendolo un “abile economista”, Emmott spiega che Draghi sa ricorrere al piano B quando occorre. Se la via maestra sarebbe rimanere a Palazzo Chigi per completare l'azione sul Pnrr avviata dal suo governo, “quando il risultato perfetto non è ottenibile, è giusto ricorrere alla migliore delle opzioni imperfette". E, nel caso specifico, la soluzione è che Draghi "venga eletto Presidente della Repubblica a gennaio, così che possa supervisionare le cose per i prossimi sette anni, nei panni di Capo dello Stato”. Ma perché c'è bisogno di un piano B?

Perché Draghi deve lasciare il Governo

Secondo Emmott, l'idea che Draghi rimanga a Palazzo Chigi fino alle elezioni del 2023 è “un'illusione”. I notevoli risultati ottenuti dal suo esecutivo sono infatti il risultato di “un armistizio” tra i diversi partiti che lo sostengono e a questo punto davanti all'ex Presidente della BCE ci sono solo due strade possibili: “Passare i successivi sei mesi con le mani su un volante sempre più traballante, oppure i prossimi sette anni come un tronfio vigile che regola il traffico”. Emmott descrive l'Italia come un Paese “in stagnazione per la maggior parte degli ultimi 30 anni”, fino a quando Draghi, da direttore generale del Tesoro, “nel 1992 ha aiutato la nazionale a uscire dalla crisi del debito pubblico che vide la lira espulsa dall'allora meccanismo di cambio europeo, cosa che ha portato a decenni di vincoli fiscali”. Un cambio di passo che sarebbe stato difficile anche “con un mandato di dieci anni e un quadro politico stabile”.

La supervisione del Quirinale sul Pnrr

Il carisma di Draghi viene indicato come la caratteristica ideale per completare un'evoluzione del ruolo di Presidente della Repubblica, dopo che già Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella si sono ampiamente spesi personalmente per compensare le incertezze determinate dalla frammentazione dei partiti. Per questo Emmott, ancora prima che Draghi dichiarasse le proprie ambizioni, ne auspicava la salita al Colle, tracciando anche la rotta per il suo ideale successore: un “governo fotocopia”, guidato da uno dei ministri tecnici di Draghi. Molto probabilmente un esecutivo, il quarto della legislatura, nato sotto queste premesse “sarebbe troppo debole per far passare delle nuove leggi, ma potrebbe svolgere un ruolo importante sul piano della comunicazione pubblica e nel contempo sviluppare il lavoro necessario per spendere bene i soldi dell'Unione Europea”. E a quel punto, conclude Emmott, “tutto tornerebbe in gioco con le elezioni del 2023, con la supervisione del Presidente Draghi”. 
 

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