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Politica
"E’ vero, i fondi Ue sono a rischio. La solidarietà? Era solo retorica”

Il rischio di uno stallo sul Recovery fund è reale, “i problemi sono seri”. L'economista e deputato di Liberi e uguali Stefano Fassina condivide l’allarme lanciato dal ministro per gli Affari europei Enzo Amendola. Ma aggiunge anche, intervistato da Affaritaliani.it, che “casomai c’è stata troppa retorica prima”, sia in Europa che nei nostri confini. Dopodiché Fassina, già viceministro dell’Economia nel governo Letta, ha le idee chiare sulla strada da seguire per non finire nell’impasse: “Rassicurare i Paesi frugali? Per loro non faremo mai abbastanza. Bisogna invece costruire un’offensiva con i governi più esposti come noi, quali Spagna, Grecia, Francia, Belgio. Occorre organizzare un fronte che costruisca un rapporto di forze diverso e che ci consenta di portare a termine il Recovery fund, ma anche di legittimare la Bce a fare quanto sta facendo la Federal Reserve”.

Fassina, andiamo con ordine. Lei quindi condivide l’allarme lanciato dal ministro Amendola. Aveva messo in conto questo rischio?
A caldo, già a luglio, quando è stato definito l’accordo, ne avevo evidenziato l’enfasi eccessiva e avevo sottolineato come si trattasse di un accordo politico che necessitava dell’approvazione dei parlamenti nazionali. Purtroppo tocchiamo con mano quella che è la realtà dell’Unione europea: troppa retorica sulla solidarietà e sugli obiettivi raggiunti. Senza contare che siamo di fronte a Stati nazionali che hanno interessi diversi e ad una governance dell’Ue fatta apposta per impedire decisioni impegnative.

Quanto è preoccupante il quadro?
La situazione è seria. Perché non c’è solo la difficoltà con il gruppo Visegrad, in particolare con Polonia e Ungheria, rispetto all’articolo 7 e allo Stato di diritto, ma ci sono i problemi con i Paesi frugali che fanno resistenza e cercano di bloccare un accordo che li vedrebbe contributori rispetto al Recovery fund. Ma non finisce qui.

Cos’altro c’è?
Non sono da trascurare neppure i giovani del partito dei finlandesi che hanno raccolto le firme per fare un referendum e bloccare il Recovery fund. Non dimentichiamo che il Recovery deve passare per il Parlamento finlandese dove loro rappresentano il secondo partito. Insomma, questa è l’Unione europea reale, rispetto a quella della retorica astratta e poi foriera di illusioni.

Troppa retorica in Ue, ma anche in patria?
Nelle audizioni sul Recovery fund del ministro Gualtieri e del commissario Gentiloni in commissione Bilancio ho posto la questione. Ho sottolineato che si tratta di risorse importanti, ma inadeguate ad affrontare la fase che abbiamo di fronte. Tra l’altro tali risorse scontano un quadro di regole - in particolare il Patto di stabilità e crescita e il Fiscal compact - che se confermato le vanificherebbe.

In che senso?
E’ semplice: le risorse che ci verrebbero dal Recovery fund verrebbero annullate dai tagli necessari per rispettare gli obiettivi di finanza pubblica che quei Trattati impongono. Quindi, ritengo che ci sia stata una retorica eccessiva. E adesso bisogna fare i conti con la realtà.

Il governo si sta muovendo bene?
Fa bene il ministro Amendola ad andare a Berlino. Sono dell’idea che si debba chiudere al più presto sul Recovery fund. Dopodiché credo che la questione vera si giochi intorno alla Banca centrale europea.

Si spieghi.
Il futuro dell’Eurozona e quello dell’Italia dipendono dal comportamento della Bce, che ha fatto molto nella fase in cui siamo, ma non abbastanza.  Non trascuriamo cosa ha fatto il presidente della Federal Reserve a fine agosto, archiviando il tabù dell’inflazione al 2 per cento e assumendo come obiettivo primario la massima occupazione. Ecco, siamo di fronte a un passaggio storico che richiede un’archiviazione dei paradigmi che purtroppo fondano l’Unione europea, l’eurozona, la politica di bilancio e monetaria.

All’atto pratica, qual è la strada da imboccare?
Siccome la Banca centrale europea è l’unica istituzione federale, consiglierei al nostro governo di costruire un fronte con i governi dei Paesi che hanno maggiori problemi proprio per legittimare politicamente la Banca centrale europea a imprimere una radicale correzione di rotta. Solo così si potranno evitare problemi molto seri in un’area che rischia la stagnazione per un lungo periodo.

Quale ruolo può e deve giocare l’Italia per sbloccare una eventuale impasse?
Dobbiamo evitare di commettere errori e di essere autolesionisti. Inviterei tutti a riflettere sulla retorica utilizzata nei confronti del Mes, per esempio, che continua a essere presentato come un regalo straordinario. Se 17 Paesi dell’Unione accedono al Sure e nessuno al Mes, qualche ragione ci sarà? Ecco perché insisto: bisogna evitare di commettere errori, dire no al Mes e costruire un’offensiva con i governi più esposti come noi, i governi di quei Paesi che a marzo scorso hanno sottoscritto insieme al premier Conte la lettera al presidente del Consiglio europeo. E lavorare per consentire alla Germania, dove pure il dibattito interno è acceso, di avere una forza negoziale maggiore. Serve, insomma, un fronte comune perché la partita adesso è davvero complicata.

E per superare le diffidenze dei Paesi del Nord cosa bisogna mettere in campo?
Per i frugali non faremo mai abbastanza. A meno che non rinunciamo completamente - e siamo già sulla buona strada - alla nostra autonomia politica. Anche se accedessimo al Mes, per esempio, subito dopo verrebbe applicato lo statuto che lo regolamenta e che non è stato sospeso dai comunicati stampa o dalle lettere di Gentiloni e Dombrovskis. Ne seguirebbe un’analisi di sostenibilità del debitore e noi, con un debito del 160 per cento del Pil, verremmo giudicati inevitabilmente a rischio di sostenibilità e poi chiamati a un programma di aggiustamento. Insomma, per i Paesi del nord non sarà mai abbastanza la “sottomissione” a regole che vanno contro gli interessi nazionali, dei lavoratori e delle fasce sociali più deboli.

Sta dicendo che sarebbe meglio ignorarli?
Consiglierei di lasciar stare la storica linea di quelli bravi a fare i compiti a casa perché i compiti a casa fatti bene non saranno mai abbastanza.
 
Ma non pensa che di fronte a uno stallo europeo sul Recovery fund, il Mes si imporrà ancora di più come strumento ineludibile?
Certo, questo stallo verrà utilizzato per motivare un accesso al Mes. Io, al contrario, credo che tale difficoltà sia una spia importante, la prova del fatto che  bisogna cambiare strada.

Altrimenti?
Altrimenti, una volta dentro al Mes, verremmo portati inevitabilmente a un programma di ristrutturazione. Attenzione, quindi. Perché la retorica solidaristica si è sgonfiata sul Recovery e si sgonfieranno anche i pronostici rispetto alle regole di un trattato internazionale, quello sul Mes, che continua a valere. 

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