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Politica
Green pass, "Io, uomo di sinistra, non sto con chi va in piazza"

Il d-day per l’obbligo di Green pass in tutti i luoghi di lavoro è arrivato. Una giornata che soprattutto il Governo segue con la massima attenzione e con altrettanta irremovibilità. La linea di Draghi, infatti, per il momento rimane quella della fermezza. Anche sul fronte dell’ipotesi ventilata da più parti di intervenire per calmierare il prezzo dei tamponi. Questione sulla quale invece insiste il deputato Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana: “In assenza di una legge sull’obbligo, che pure noi avevamo considerato possibile sin da quando si è aperto il dibattito sul tema, la possibilità di scelta tra vaccinarsi e non farlo resta, ma non si può chiedere alla collettività di farsi carico del costo dei tamponi”. Quanto alle manifestazioni, invece, non lo convince il grido ‘libertà': “Più che di libertà - sottolinea l’esponente di sinistra -, mi pare una richiesta di arbitrio”.

Il rischio, a conti fatti, è che alcuni lavoratori siano discriminati.  
Io non credo che “discriminazione” sia la parola giusta. Come giustamente sostiene Zagrebelsky, siamo di fronte a una condizione differente: c’è chi sceglie di immunizzarsi e chi sceglie di non farlo. Fermo restando che tutti sono messi nella condizione di vaccinarsi gratuitamente e che il vaccino rimane uno degli strumenti fondamentali per tutelare la salute pubblica, quello che si può fare è intervenire per calmierare il prezzo dei tamponi. Penso che questo percorso si possa intraprendere, anche per evitare che si innestino logiche di carattere speculativo legate alle leggi di mercato.

Come ci si dovrebbe muovere?
Non solo prevedendo ulteriori fondi pubblici, ma anche attraverso i controlli. Il Green pass, infatti, è uno strumento utile perché spinge alla vaccinazione, ma non può diventare l’unico elemento di screening e indurre a pensare che ogni altra precauzione possa essere abbandonata. Ritengo che continuare ad avere un alto tasso di testing sia fondamentale. Questo vale anche per Confindustria, che è stata la prima a chiedere l’estensione del Green pass alle aziende: deve sapere che tale scelta non può diventare un viatico per abbassare o abbandonare tutti i protocolli di sicurezza anti- Covid, siglati quando ancora non era disponibile il vaccino e né tantomeno il Green pass.

Intanto proprio Confindustria, per lo meno il vertice, sostiene che il costo del tampone non può essere a carico dell’azienda.  
Io penso che non si debba sic et simpliciter porre il tema della gratuità dei tamponi. Non leggiamo la questione solo dal lato di chi non vuole vaccinarsi. Leggiamola invece dal lato del mercato e soprattutto in una chiave di sicurezza.

Cosa vuole dire?
Il tampone resta uno strumento di controllo che non riguarda solo chi non è vaccinato, ma anche chi è immunizzato. Ecco perché mantenere i protocolli di sicurezza e la capacità di testing attraverso l’uso dei tamponi è una buona abitudine da mantenere. Un intervento per calmierarne il prezzo ne favorirebbe l’utilizzo e potrebbe incoraggiare pure persone immunizzate di fronte a qualche sintomo. Teniamo sempre a mente che il vaccino ha un’altissima efficacia soprattutto rispetto alle conseguenze più gravi del Covid, ma non dà l’efficacia assoluta.

Alla fine della fiera, lei sui tamponi è sulla stessa linea della Lega.
Io penso a interventi sui prezzi motivati e credo che il tema possa diventare un elemento di riflessione. Ragionare, appunto, su come evitare che il mercato sia l’unico regolatore rispetto ai prezzi, per esempio, lo considero complessivamente giusto.

Peccato che Draghi per ora tiri dritto.
Vedremo. I sindacati hanno avanzato una serie di proposte e  penso vadano ascoltati. Ecco, chi a suo tempo ha rapidamente bollato Landini come un no-vax o come uno che strizzava l’occhio ai no-vax perché chiedeva non tanto i tamponi gratuiti, ma per esempio un periodo transitorio tra l’entrata in vigore della norma e la sua rigida applicazione, ha dato giudizi affrettati. Dare tempo anche di fare un'opera sindacale di convincimento nei luoghi di lavoro forse era una proposta di buon senso.

E probabilmente si sarebbero evitate le proteste di piazza.
E’ inutile collocare la discussione su un terreno ideologico. Intanto, occorre spingere sulla vaccinazione. Siccome il vaccino è disponile e largamente sicuro, credo che tutti debbano fare questo passo il prima possibile. Ma non bisogna neanche dimenticare che esiste una percentuale di persone che non può vaccinarsi per problemi di salute e a questi soggetti, naturalmente, va offerta un’alternativa. Poi ci sono i cittadini che hanno paura e vanno convinti: l’obiettivo rimane svuotare il più possibile quest’area di non protetti. Alla fine di questo percorso, però, chi decide di non sottoporsi al vaccino dovrà pure assumersi le responsabilità della scelta. Per questo mi convince poco il grido “libertà” in queste manifestazioni. Più che di libertà, infatti, mi pare una richiesta di arbitrio.

Ammetterà, però, che in assenza di un obbligo di legge sulla vaccinazione, con il Green pass obbligatorio si rischia di compromettere il diritto costituzionale al lavoro.
Parliamo sempre di misure che per la loro natura eccezionale devono avere un tempo, non possono diventare permanenti. Al netto delle contraddizioni che sul piano applicativo del Green pass ci sono (a cominciare dall’assenza dell’obbligo di esibirlo su bus, metropolitane e tuti i mezzi di trasporto regionale), però, è necessario analizzare a fondo la condizione dei lavoratori. C’è differenza tra un operaio a bassissimo reddito e un manager d’impresa e non può essere trascurata.

Rimane il fatto che l’Italia con l’adozione del Green pass su tutti i luoghi di lavoro, resti un unicum in Europa. Come la mettiamo?
La mia impressione è che questa decisione sia stata il risultato di una generalizzata volontà di risparmiare in termini di riorganizzazione del lavoro, di potenziamento dei mezzi pubblici ed anche di riduzione del numero di alunni per classe, un obiettivo fondamentale quest’ultimo a prescindere dal Covid. Credo che a un certo punto si sia cercata una scorciatoia. Un terreno che trovo di per sé poco convincente, ma parliamo sempre di una condizione transitoria. In quest’ottica, quindi, non siamo di fronte al peggiore dei mali. Continuo a pensare, infatti, che il peggiore dei mali resti il Covid.

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