L'importanza di chiamarsi Matteo di Stefano Golfari
Ernesto in inglese fa Ernest, e si legge quasi identico a "earnest", aggettivo che significa "onesto, sincero, affidabile". Su questa assonanza giocò Oscar Wilde nell'arcinota commedia "The importance of Being Earnest", la quale ha per protagonista un funambolico Ernesto che è tutto tranne che onesto. In italiano la traduzione di quel titolo ha sempre dato problemi visto che fra il nostro "onesto" e il nome Ernesto il giochino di parole non riesce perfetto. Si è provato con Franco, che è forse la soluzione migliore. Tuttavia se un redivivo Oscar Wilde frequentasse oggi la scena nostrana credo opterebbe per Matteo: l'importanza di essere Matteo è divenuta, actually, una qualità degna di un grande commediografo.
Due luminosi esempi: Matteo Renzi e Matteo Salvini. Per quella recondita armonia che a volte lega i destini degli uomini a quelli dei loro nomi (nomen homen) i due giovanotti di successo hanno in quel po' di mattana infusa dalla fonte battesimale la loro vera forza e la loro straordinaria simiglianza. Ciò che è folle in altri è vincente in loro, ciò che è irrazionale dà loro ragione. Perché, sempre di più, la ragione si dà ai Matteo. Nel giro di una settimana abbiamo visto Matteo leghista nominare un negro (che con la "g" vuole essere appellato) responsabile delle Politiche per l'immigrazione della Lega Nord per l'indipendenza della Padania e, insieme, stringere alleanza con Casa Pound, proclamando da una loro casa occupata a Roma che i bianchissimi neo-fascisti (che con il "neo" vogliono essere appellati) "hanno fatto più di Renzi per i poveri italiani". L'altro, il Matteo socialista, ha snobbato e sfanculato i sindacati (CGIL in primis) fino a ieri. Ieri ha annunciato che domani li incontrerà per discutere di Articolo 18 e TFR e dopodomani si presenterà al vertice europero di Milano con la Riforma sul lavoro bell'è fatta, approvata dal Parlamento. Quello che manda ai matti non è la contraddizione, è la velocità. La velocità del contropiede. La velocità con cui tutto e il suo contrario vengono shakerati dai due frenetici barman è, alla fine, il segreto del cocktail. Ma chi se lo beve? Tanti. Tantissimi renziani e tantissimi salviniani (la Lega è in continua crescita e oramai punta alla doppia cifra nei sondaggi) non notano nulla di sbagliato, anzi. Il Matto Matteo piace, stuzzica, inebria le folle. E i folli sembriamo noi che ancora chiediamo come? perché? in che senso? Domande inutili: nella commedia degli equivoci il finale conta poco, è l'intreccio delle apparenze, il gioco degli specchi, la sorpresa, l'assurdo a divertire il pubblico. Che applaude i due Matteo e ne fa due mattatori perfetti di questo Teatrino dell'assurdo che è - di nuovo, di vecchio - la sedicente Politica italiana.
Stefano Golfari