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Politica
Le illusioni e le delusioni del collettivismo all’italiana

Anche se uno decide che di un Paese come l’Italia non val la pena di interessarsi, alla fine ci ricade. Non per nulla si chiama Patria. E anche se il nome risale a “patrem”, padre, tutti la sentiamo come una madre al punto che, contraddicendo quell’etimologia, parliamo di “madrepatria”. E se nostra madre sta male, e rischia di morire, e ci chiede di andarla a trovare, non ci mettiamo a rinfacciarle la volta in cui…

La sofferenza dell’Italia mi colpisce profondamente. La nazione è un’entità astratta, ma gli italiani sono i miei vicini di casa, il pizzaiolo che mi sorride quando entro nel suo locale, i ragazzi imbecilli che vanno a farsi assordare in discoteca.

L’Italia agonizza, guidata da ominicchi che pensano soltanto a sopravvivere, e non adotterebbero mai un provvedimento se, pur salvando l’Italia, dovesse loro costare la cadrega parlamentare. Nave senza nocchiero in gran tempesta, come sempre. Né mi consola che vengano al pettine nodi epocali che denuncio da decenni. Uno di questi, cui gli italiani (ma non soltanto loro) sono più affezionati, è il collettivismo. E la tragedia del Covid-19 è una buona occasione per discuterne.

La polizia può essere privata? Certamente no, perché ci sarebbe il rischio che non tocchi il padrone, anche se è un omicida, e perseguiti un suo avversario, anche se innocente. Ecco perché l’ordine pubblico non può essere affidato che allo Stato. Ma lo Stato non ha il dovere di fornirmi le ferrovie, la Sanità Pubblica (esistono le assicurazioni), l’università pressoché gratuita, quando nei ricchi Stati Uniti sono spesso gli stessi studenti, dopo laureati, che devono pagarsela, e via dicendo. Lo Stato non ha il dovere di provvedere ai cittadini se piove troppo, o troppo poco, se c’è un terremoto, se l’impresa in cui lavorano chiude, e comunque ogni volta che si trovano ad affrontare un gravissimo problema. I collettivisti pensano di sì, alcuni dicono di no. E fino ad ora i collettivisti hanno avuto ragione e i pochi torto. Ma oggettivamente il collettivismo è una buona o una cattiva soluzione? E soprattutto, funziona in tutti i casi?

Le argomentazioni sentimentali sono a suo favore. Terremoto. Il villaggio di Villabianca, in provincia di Cossana, è andato pressoché distrutto: quaranta morti e gente disperata che ha perduto la casa. Vogliamo o no aiutare questi sfortunati? Ecco la madre del collettivismo: si pensa che se noi tutti (sessanta milioni) facciamo un piccolo sforzo, possiamo salvarli. Il tallone d’Achille di questa teoria è che il suo schema – moltissimi stanno bene, alcuni stanno male – non sempre è valido. Può anche avvenire che alcuni stiano bene e moltissimi male. A questo punto che facciamo? Eppure è un’ipotesi che è necessario considerare.

Nel caso delle migliaia di terremotati, delle migliaia di licenziati dalle imprese in crisi, e comunque di tutti coloro che sono troppo numerosi per essere aiutati, la soluzione italiana è sempre stata quella di promettere l’impossibile, E poi non farlo, naturalmente. Da noi la regola è che se i disgraziati sono dieci, possono anche morire in mezzo alla strada. Perché non fanno i titoli dei giornali. Se sono trecento, si attivano i sindacati, l’intera politica ed anche il Papa. Ma se il problema riguarda decine e decine di milioni di italiani, come capita attualmente col Covid-19, ecco che non bastano più i quattordici miliardi sprecati con l’Alitalia, i cento miliardi sprecati dal Governo Conte a partire dal marzo di quest’anno o altri ancora. Perché a tutto c’è un limite. L’intera Italia non può vivere di elemosina perché l’elemosina richiede qualcuno che possa farla.

Finalmente la Necessità - l’Ananche, come la chiamavano i greci - presenta la dimostrazione che mille liberali non sono riusciti a fornire. Se la situazione è grave e riguarda tutti, lo Stato non può farvi fronte, perché in sé non esiste. Esiste soltanto la collettività, e in questo caso è dunque la collettività che deve aiutare sé stessa. Purtroppo in Italia il governo non ha neppure il coraggio e la chiarezza di idee di dirci che dobbiamo fare da soli. È come un padre ricco che prima ha dato denaro a palate ai figli e poi, quando improvvisamente fallisce, li riempie di compianto e di promesse, ma dimentica di rivelargli che devono mettersi a lavorare.

Il nostro invadente governo vuole imporci il modo di difenderci dal virus. Vuole raccontarci che possiamo anche non lavorare, ché tanto provvederà lui a tutto. Vuole farci credere che può fare miracoli, magari moltiplicando i pani e i pesci. Insomma illude tutti, ed ovviamente delude tutti. Miracoli ne fanno a volte i privati, come quei lombardi che, a spese loro e in breve tempo, hanno creato un ospedale anti-Covid da duecento posti. Ma se fossero necessari non duecento, non cinquemila, ma cinquantamila posti di terapia intensiva, chi potrebbe mai fornirli?

Da qui in poi espongo delle contestabili opinioni sul Covid-19, ma faccio notare che, se anche fossero erronee, non sono erronee le considerazioni che precedono.

Nel caso della pandemia, lo Stato avrebbe dovuto dire che non era in grado di garantire la salute di tutti: “Questo virus è estremamente contagioso, a volte mortale e ognuno deve proteggere sé stesso, così e così. E non dovete infettare gli altri, così e così. Per il resto, buona fortuna”. Insomma trattarci da adulti.

Anche attualmente il governo avrebbe dovuto dire: “Guardate che la serata al ristorante può costarvi la vita. Il ristorante è aperto perché i cuochi e i camerieri devono guadagnarsi da vivere, mentre voi, ‘andando a cena fuori’, rischiate inutilmente. Ma sono affari vostri e dei vostri figli”.

Insomma avrebbe dovuto fornire il massimo di possibilità di sopravvivenza a chi voleva sopravvivere (economicamente e dal punto di vista sanitario) lasciando a tutti gli altri ls libertà di mettersi nei guai. Mi chiedo al passaggio se non sia la politica di Trump.

La collettività non deve e non può farsi carico di tutti. Chi non è adulto e responsabile, la paga. Rabelais una volta definì la gioventù l’“età in cui si piscia controvento”. Poi si impara.

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