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Politica
M5S, svolta Di Maio-Grillo: mossa vincente o harakiri?

Adesso, Luigi Di Maio, bollato dal fanatismo dei social quale “bibitaro” allo stadio San Paolo, porta a casa la sua rivincita.  48.975 grilliniaventi dirittodanno all’inquilino della Farnesina  carta bianca per far cambiar passo e linea al M5S in crisi, rivoltandolo come un calzino. Rimangiandosi tutto, alla faccia della coerenza, si dirà. Chissenefrega! “Primum vivere”, sentenziava Craxi. Il 31 dicembre 2018 Di Maio dixit: “La regola dei due mandati non è mai stata messa in discussione e non si tocca. Né quest'anno, né il prossimo, né mai. Questo è certo come l'alternanza delle stagioni”. Ecco. Così, nella calura della vigilia di Ferragosto, la base dei 5Stelle conferma sulla piattaforma Rousseau la linea di Di Maio avallata da Grillo con il Sì alle alleanze col Pd e al terzo mandato.

Quasi in sordina, il M5S passa da movimento partitoavviandosi a quel matrimonio d’interesse che in politica è legittimo ma che tante volte in passato è naufragato con divorzi che hanno distrutto partiti e leadership. Non è una questione di lana caprina né una questione interna ai 5Stelle perché il cambio di linea rinnegando se stessi per poter sopravvivere e superare la crisi identitaria, politica e consentire a Di Maio di riprendersi il timone avrà ripercussioni sullo stesso Partito democratico nato come “riformista” e “a vocazione maggioritaria”, sulle elezioni regionali e sul referendum del taglio dei parlamentari del 20-21 settembre, sulle stesse sorti del governo. Come chiamare la nuova linea dei grillini: trasformismo, tradimento degli ideali, dietrofront? Macchè! “Evolversi è giusto”, dice Di Maio.

Già. L’evoluzione salva la specie. Tradotto in politica: la torta è grossa e con gli alleati (di turno) si trova sempre un accordo per dividersela. Alla fine, forse anche chi punta alla scissione interna si ravvederà: un regno è felice quando mangia il re e c’è da mangiare per tutti. E, qui, stando saldi al governo al centro e in periferia, ce n’è di pane e companatico! Niente di nuovo sotto il sole: quando i conti non tornano, per non mollare la poltrona si abbandonano i sacri principi da cui si era partiti. Politicamente legittimo. Fatto sta che il Movimento degli onesti, dell’uno vale uno, ha infranto l’ultimo tabù, trasformato in Casta e aprendosi all’abbraccio con il piddì, il partito per eccellenza del potere e dello status quo. Cade la maschera, anzi, cadono le maschere.

Visto l’iter “carbonaro” della vicenda la domanda sorge: è la mossa della disperazione per salvare il salvabile? Quando si è in mezzo al guado, o se ne esce o si affonda. Grillo aveva ben capito lo stato della fiera della suacreaturae Di Maio, opportunamente, ha agito di conseguenza portando a casa il risultato. Bravo. Conte prende atto, incassa con il sorriso furbo il risultato che fa bene, pro tempore, alla tenuta del governo, chiamato comunque alla prova del budino delle urne del 20 e 21 settembre. Chissà come l’elettorato dei 5Stelle prenderà questa ultima mossa. Seguiranno, più degli ordini di Di Maio e Grillo, l’appello di Montanelli: “Voto Dc, turandomi il naso”? 

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