Non si può dire che sia stato un fulmine a ciel sereno, perché da tempo le nubi si erano fatte scure. Potrebbe non essere nemmeno un punto di non ritorno.
Con la clamorosa scelta di annunciare le proprie dimissioni da segretario del Pd, Nicola Zingaretti ha avuto l’indiscutibile merito di sottrarsi al gioco del tiro al piccione che ormai in troppi, fuori e dentro il partito, avevano iniziato a praticare con crescente entusiasmo.
Rimanere nell’angolo ad incassare gli uppercut di chi lo accusava di essere caduto vittima delle sottili trame di Matteo Renzi e chi invece gli imputava la formazione di un governo con eccessivi spazi per il centrodestra, ripescato dall’opposizione, lo avrebbe portato a un knock out definitivo.
Le dimissioni non sono un fatto usuale in Italia, non solo in politica. Talvolta non sono una cesura, bensì un più propositivo rilancio. Lo capiremo meglio nei giorni scorsi, ad esempionel caso che le iniziative in suo sostegno che già sono in corso di organizzazione - come risulta ad Affari Italiani – vedranno davvero la luce.
In quello scenario, il passo indietro di “Zinga” potrebbe essere semplicemente la rincorsa per farne due in avanti. La sua decisione infatti sgombra il campo dalle troppe ambiguità degli ultimi tempi e obbliga tutti i personaggi sulla scena ad interpretare un solo ruolo in commedia, ben chiaro e definito: o di qua o di là. O con il segretario o per con un’alternativa che, ad oggi, pare essere solo di minoranza.
E l’esito di questa vicenda è tutt’altro che scontato.
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