Mario Draghi al Colle, quel sogno dell'ex premier mai sopito e che può ancora realizzarsi - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 17:04

Mario Draghi al Colle, quel sogno dell'ex premier mai sopito e che può ancora realizzarsi

Molti analisti si sono lanciati in supposizioni più o meno credibili e suggestive...

di Vincenzo Caccioppoli

Mario Draghi al Colle, quel sogno dell'ex premier non ancora sopito

È davvero insolito vedere una persona misurata ed equilibrata come Mario Draghi, usare le parole sferzanti che ha indirizzato all’Europa durante il suo intervento al meeting dell’amicizia di Rimini. E non si tratta certo della prima volta che l’ex governatore della Banca d’Italia, ex presidente della Bce ed ex presidente del Consiglio, lancia moniti contro quella che sembra un’Europa sempre più persa ed inconcludente.

A maggio, in Portogallo, Draghi al 18esimo summit del Cotec aveva parlato di dazi e di come reagire. Ma in quel caso si era trattato più che altro di dispensare consigli (sulla base delle risultanze del corposo rapporto sul futuro competitività europea) per dare quella scossa al sistema Europa, affinché siano eliminate tutte quelle dannose barriere che rallentano il “mercato interno” e frenano gli “investimenti”, rispolverando il caro vecchio “debito comune” che potrebbe stimolare la “crescita economica” e la “ricchezza dei cittadini”.

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Ma a Rimini Draghi non si è limitato a dare suggerimenti, ma ha emesso delle vere e proprie sentenze, che hanno certamente lasciato il segno. “Non conta nulla (l’Europa, ndr), su guerra e dazi è marginale e spettatrice” ha detto Draghi. Dal palco del Meeting di Rimini, l’ex Presidente del Consiglio ha di fatto certificato la fine di un’epoca: quella in cui si è potuto credere che la dimensione economica, forte di 450 milioni di consumatori, fosse di per sé sufficiente a garantirle un peso geopolitico.

“Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata”, ha esordito Draghi, descrivendo un continente costretto a subire i dazi del suo principale alleato, spinto ad aumentare le spese militari secondo priorità altrui e marginalizzato nei principali tavoli negoziali, dall’Ucraina al Medio Oriente. Ma quello di Draghi non è solo una reprimenda su quello che poteva essere, ma che invece non è stato.

L’ex presidente della Commissione ha infatti posto fortemente l’accento sul futuro: l’Europa, secondo l’ex numero uno della BCE, deve abbandonare il ruolo di “spettatore” per diventare “attore protagonista” in un mondo dove controllo tecnologico e sovranità politica sono ormai inscindibili.

Molti analisti si sono lanciati in supposizioni più o meno credibili e suggestive, sul perché un europeista convinto e autorevole della prima ora come l’ex presidente della Banca centrale europea, si sia potuto lanciare in invettive così dure contro quella creatura che lui stesso ha difeso strenuamente fino all’altro ieri. Forse un po' di rammarico per quello che poteva essere fatto prima, o forse ancora la delusione per una guida sia della commissione che della Bce che certamente non possono essere considerate soddisfacenti, forse anche un pizzico di autocritica sana e costruttiva, come qualcuno ha voluto sottolineare.

“Poteva pensarci prima, quando da neoliberista a capo della Bce, non ha fatto molto per allargare il mercato europeo e aumentare la competitività. Ha seguito come un cagnolino quello che era il diktat della Merkel. Certo di fronte all’attuale presidente, lui era un fuoriclasse, ma ha solo svolto il suo compitino, anche se molto bene, senza mostrare quella grinta che sta uscendo solo ora. Un po' tardivo direi", dice un deputato di lungo corso di Forza Italia.

Chissà forse il deputato forzista avrà ancora il dente avvelenato, per quella letterina del 2011, firmata appunto da Draghi e dall’allora presidente della Bce Claude Trichet, che bacchettava il nostro paese e il premier Silvio Berlusconi, per l’allegra gestione dei conti pubblici. Ma è opinione di molti che Draghi è stato comunque per certi versi anche una sorta di architetto di questo modello di Europa che si è ora dimostrata fallimentare.

Ecco allora che la domanda sorge spontanea perché proprio ora e perché con questa veemenza che pare effettivamente forse spropositata detta da uno come lui? Qualcuno ha nei giorni scorsi formulato l’ipotesi che lui potesse aspirare a sostituire Ursula Von der Leyen, che ormai quasi nessuno sopporterebbe più, a cominciare proprio dal suo cancelliere Frederic Merz. Ipotesi suggestiva certo, ma difficilmente realizzabile, anche per la sostanziale indisponibilità del protagonista.

Mentre la seconda, anche se un po’ contorta suggestione, forse potrebbe avere qualche maggiore fondamento di verità. Secondo qualche conoscitore delle cose del palazzo, infatti, gli attacchi di Draghi, che da qualche mese si stanno susseguendo con una certa regolarità e con sempre maggiore durezza, avrebbero un secondo fine, molte meno aulico di quello di aspirare al bene dell’Europa, e molto più personale.

Molti indizi porterebbero a quella che sarebbe rimasta forse l’unica vera aspirazione di un uomo che ha ottenuto tutto nella sua vita professionale e pubblica. Non è un mistero che nel 2022 lui aspirasse e non poco a prendere il posto di Mattarella al Quirinale. Ma da presidente del Consiglio in carica, sorretto da una maggioranza che si stava sfaldando, la cosa era apparsa subito assai complicata. Poi certo lui ci aveva messo anche del suo con interventi scomposti, che hanno mostrato la sua poca abitudine alla trattativa politica sottobanco.

Ora invece avrebbe riflettuto a lungo e starebbe coltivando in cuor suo la tentazione di riprovarci, facendo leva sul fatto che nel 2027 la maggioranza possa alla fine rimanere al centro destra. E quale miglior viatico verso una ampia fetta di quel campo politico, se non quello di apparire come la voce critica di un’Europa divisa spaccata e che non fa gli interessi dei suoi cittadini? Fantapolitica? Pettegolezzi? Suggestioni di mezza estate?

Può darsi, ma si sa, a volte le suggestioni in politica, anche quelle che all’inizio sembrano le meno verosimili, poi quasi d’improvviso prendono corpo e forma fino a diventare ipotesi reali. Chi avrebbe scommesso sulla scelta di un non politico di professione come Giuseppe Conte alla guida del governo giallorosso del 2018? E quale miglior viatico per le prossime elezioni presidenziali italiane, anche se ancora lontane, se non quello di allargare i consensi verso quella larga componente presente sia a destra, ma anche a sinistra, di ipercritici della Ue.

Immaginare adesso di lanciare una campagna per le presidenziali può essere sicuramente un azzardo, ma è certamente vero che le manovre per l’elezione del prossimo inquilino del Colle, siano già iniziate da qualche mese. Perché Giorgia Meloni (da escludere per il momento che lei stessa possa salire al Colle, chi la conosce bene sa che non ama lasciare il lavoro a metà) non vuole rischiare che si possa ripetere la paradossale sceneggiata del febbraio del 2022. E soprattutto non può e non vuole che ancora una volta al Colle salga una persona vicina al centro sinistra.

I nomi in campo per il centrodestra sono sicuramente di peso, Antonio Tajani, Giancarlo Giorgetti, Ignazio La Russa, Alfredo Mantovano, sono tutti nomi autorevoli, ma nessuno di loro potrebbe costruire, intorno a sé, il consenso di uno come Mario Draghi. Rimarrebbe lo scoglio, non certo secondario, del non fare parte dello schieramento di centro destra.

E allora ecco che, dopo avere costruito un solido legame con Giorgia Meloni (con Giorgetti si danno del tu da un decennio, ma ha anche buoni rapporti con Mantovano e La Russa) ora potrebbe cercare di accreditarsi anche verso la Lega o almeno quella dura e pura che continua a guardare a questa Europa con un atteggiamento ipercritico. E nella corsa all’ambito colle, si sa, ogni singolo voto può fare la differenza.

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