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Palazzi & potere
Il divieto di andare a Messa non dipende dal Coronavirus

Quando ho visto il video della Messa nel Cremonese che è stata interrotta da un giovane carabiniere perché ad essa assistevano 13 fedeli adeguatamente scaglionati e muniti di mascherina in una chiesa di 250 metri quadrati, ho creduto che fosse un fake, tanto era inimmaginabile, nella vita reale di un paese come l'Italia, un episodio del genere, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi. Invece, dopo essermi informato, ho dovuto purtroppo prendere atto che un caso del genere non solo è potuto avvenire, ma su di esso non si è nemmeno sviluppato un dibattito, a dimostrazione che, per chi detiene le leve informative dell'intero paese, l'analisi dettagliata, minuziosa e compiaciuta dei rapporti, poniamo, di Di Maio con Di Battista è molto più importante del commento all'irruzione (perché di irruzione si è trattato) delle forze dell'Ordine nel corso della massima funzione liturgica cattolica.

Non entro nell'analisi della vicenda sul piano giuridico (anche perché viene ben analizzata, in questi suoi termini, dalla prof.ssa Maria Lucia di Bitonto nel suo articolo a pag. 7 di questo stesso numero di ItaliaOggi dove l'impedimento delle funzioni religiose viene opportunamente e meditatamente definito come «inaccettabile, illegittimo e incostituzionale»). Mi interessa invece l'aspetto culturale, sociologico, antropologico, storico, in una parola politico, dell'evento della Messa interrotta che costituisce sicuramente un unicum nella storia del nostro paese che ricorda vicende avvenute nelle grandi dittature mortifere del secolo scorso.

Partiamo dai fatti. Il parroco cremonese che diceva la Messa davanti a 13 fedeli che non erano a rischio di contagio rappresentava indubbiamente un abuso da parte del sacerdote che, ai sensi delle legge, doveva essere punito con il pagamento di un'ammenda. A dirla tutta, il parroco non ubbidiva nemmeno alla disposizioni emanate dai suoi superiori ecclesiastici che avevano recepito ed emanato (prima entusiasticamente e poi con qualche visibile mal di pancia) le norme restrittive della prima fase della lotta al coronavirus. Norme liberticide, diciamo subito, visto che non servivano a contenere l'infezione ma impedivano solo, concretamente, l'esercizio della libertà di culto. Si ricorderà infatti che, in un primo tempo, vennero addirittura sprangate le chiese che poi vennero riaperte con precise limitazioni per lo specifico intervento del Papa e del Vaticano.

Non è escluso che il parroco cremonese, con la sua decisione, abbia voluto provocare il caso, per portarlo all'attenzione dell'opinione pubblica che poi però ne ha saputo molto poco, visto la concordia dei grandi media, di carta e digitali, nel sopprimere o silenziare questa notizia. Ma le immagini che sono andate in onda (la Messa infatti veniva diffusa anche in streaming) sono terrificanti. Un prete, nell'esercizio della libertà di culto costituzionalmente riconosciutagli (a lui e ai fedeli), e nel rispetto di tutte le norme precauzionali richieste dalla pandemia, si è visto interrompere nella recitazione della Messa dall'irruzione di un giovane carabiniere mandato allo sbaraglio che, ad alta voce e a debita distanza (non si sa mai), gli ingiungeva di sospendere la funzione.

Di fronte alla resistenza del prete che spiegava convincentemente che i fedeli, per il loro numero e per la loro collocazione, non rischiavano niente né portavano rischio a nessun altra persona, il giovane carabiniere si è allontanato per poi ripresentarsi (come se si trovasse in un mercato di frutta e verdura a contrastare le pretese di qualche bullo di quartiere) per invitare il celebrante a sospendere il rito per «parlare con il cellulare con il sindaco», che nel frattempo era stato rintracciato, si rendeva disponibile, e gli avrebbe spiegato che il rito non poteva proseguire. Al che il celebrante gli rispose, come se anche lui si trovasse in un crocicchio, che avrebbe pagato lui stesso la multa per sé e per i suoi fedeli.

Nemmeno i grandi e sanguinari dittatori del secolo diciannovesimo hanno mai interrotto la celebrazione di una Messa se non all'apice della loro potenza e della loro voglia di annientare definitivamente la libertà dei loro sudditi. Una Messa è una celebrazione sacra di altissima dimensione simbolica e valoriale, che affonda le radici nella storia e nella sensibilità nazionale. In quanto celebrazione sacra di questo livello, essa si è guadagnata e merita rispetto da parte di tutti, anche da parte dei non credenti che infatti non la mettono mai in discussione anche se nel frattempo la nostra società si è quasi completamente decristianizzata.

Il coronavirus, in questo caso, e a questo punto, è una scusa che copre ben altri e inconfessabili propositi. Adottato il distanziamento fra i fedeli e fatte utilizzare ad essi e usate le mascherine, un prete deve essere libero (non autorizzato, come mi stava sfuggendo) di celebrare i riti che lui ritiene utili e nei modi in cui lui li ritiene opportuni senza che la forza pubblica ci metta becco. Nel caso di questo giovane carabiniere, il suo intervento, sgangherato e inaccettabile nella forma e nei modi, non è colpa del ragazzo in divisa ma di chi lo ha messo nella condizione di agire in questo modo.

Del resto il fatto che il premier Conte abbia ribadito che, anche dopo il prossimo 4 maggio, con la cosiddetta fase 2, i fedeli non potranno ancora partecipare ai riti religiosi anche rispettando le cautele sanitarie ritenute indispensabili, conferma che la restrizione imposta non ha motivazioni sanitarie (queste, ripeto, sono osservate) ma risponde esclusivamente e provocatoriamente al proposito di comprimere il diritto della libera espressione del culto che ricorda (non l'avrei ma ritenuto possibile nell'Italia democratica d'oggigiorno) l'inizio delle repressioni feroci esercitate dai regimi comunisti dell'Europa orientale all'indomani della seconda guerra mondiale, quando la religione veniva da loro vista come antagonista all'ateismo marxista-leninista che non tollerava di condividere con una religione l'influenza sulle persone e sulle loro idee.

Sono comportamenti, questi, che non ricordano le benevole risse fra Peppone e don Camillo ma i prodromi delle repressioni comuniste nell'Est Europa, ai tempi di Gomulka. ll mangiapreti Peppone invece, entrando in chiesa, si toglieva il cappello. Perché, pur non essendo credente e disistimando don Camillo e a maggior ragione il Vaticano, aveva un grande rispetto per questo grande mistero che è la religione.

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