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Palazzi & potere
"Il tradimento è vitalità"

Quando gli chiedo un aggettivo per descriversi utilizza: ‘’Vorace’’ e quando gli domando se sia stato mai attanagliato dai suoi demoni e dal suo abisso interiore, lo scrittore del momento, pronuncia un laconico: ‘’Sì’’. Ha modi affabili e garbati, Marco Missiroli, classe 1981, nato a Rimini, città di elezione Milano, tanti riconoscimenti, un best seller che ha convinto critica e pubblico, Atti Osceni in Luogo Privato (Feltrinelli, 2015). Con il suo ultimo libro, ‘’Fedeltà’’ (Einaudi, 2019), è dato per favorito al prossimo Premio Strega, insieme ad Antonio Scurati, ed è balzato subito ai primi posti della classifica dei libri più venduti. Il romanzo sta facendo discutere talmente tanto che ci si è divisi tra chi lo definisce un capolavoro e chi il contrario. L’autore è convinto che sia giusto così e che ciò indichi che ‘’Fedeltà’’ è un romanzo vivo.  Intanto, Antonio D’Orrico, l’autorevole critico letterario del Corriere della Sera gli ha dato un 10 e vi ha rintracciato un finale degno de ‘’I morti’’ di James Joyce e della sua trasposizione cinematografica a opera di John Houston. Sì, perché se c’è una peculiarità inconfutabile propria di Fedeltà è la capacità di essere cinematografico come solo pochi scrittori sanno essere, offrendo una tecnica magistrale specialmente nelle ‘’dissolvenze’’ da un personaggio all’altro, tra una storia e l’altra. Missiroli ha una voce rotonda, accogliente, un bell’aspetto, occhi attenti, ed è formale quanto basta, lui stesso si definisce: ‘’Un bravo ragazzo, molto timido. Uno che difficilmente esprime il proprio caos interiore’’. ‘’Fedeltà’’ inizia con un dubbio, il sospetto di un presunto tradimento perpetrato dal professor Carlo Pentecoste, sposato con Margherita, che si sarebbe consumato con la sua allieva 22enne Sofia Casadei nei bagni dell’università. Margherita sa la verità che le ha raccontato Carlo. Ma qual è la verità? E conta poi così tanto la verità? ‘’La verità in letteratura è ciò che si ricorda’’ dice Carlo Pentecoste a Sofia. Vale anche per la vita? E la fedeltà è un’aspirazione realizzabile in una relazione duratura?  Forse l’unica fedeltà possibile è quella che pronuncia, alla sua amante Drenka, Mickey Sabbath, personaggio principale del romanzo di Philip Roth, Il Teatro di Sabbath, tanto amato da Marco Missiroli: ‘’Mi chiedi la fedeltà, una fedeltà che non ti sei mai preoccupata di offrire a tuo marito, e che, se io ti concedessi quello che vuoi, tu continueresti a negargli, per causa mia. Vuoi la monogamia al di fuori del matrimonio, e l’adulterio nel matrimonio: forse hai ragione, forse è l’unico tipo di fedeltà possibile’’.

Fedeltà a chi, a cosa?

In verità, fedeltà è un punto interrogativo: è plurale o singolare? Quante fedeltà conosciamo nella nostra vita e soprattutto quanto siamo fedeli a noi stessi? Pensiamo sempre che la fedeltà o l’infedeltà siano verso l’altro. Non ci chiediamo mai quanto siamo fedeli a quello che proviamo, agli istinti, alle nostre norme e spesso tradiamo proprio quelle per essere fedeli alla società. Che cosa succede se decidiamo di essere fedeli a noi stessi, che cosa mettiamo in atto, che propulsione, che esplosione creiamo? Il libro interroga la  lotta intestina di due che stanno insieme e i loro amanti o possibili amanti e di che cosa accade all’interno della società quando mischiamo amori che possiamo avere e quelli che non possiamo avere.  Il libro si chiama fedeltà, perché prima di tutto dovevo essere fedele ai fatti, quindi tutto quello che c’è dentro è vero: autobiografismo, casi clinici, testimonianze.

E se ti chiedessi quale personaggio sei dei protagonisti di ‘’Fedeltà’’?

Adesso sei tu che fai le domande. Nessuno dei quattro. Sono piuttosto Mickey Sabbath.

Anch’io sono Mickey Sabbath. ‘’ Il Teatro di Sabbath’’ e ‘’Indignazione’’ sono i libri che prediligo di Roth.

Come puoi essere Sabbath se hai concepito una storia in cui nessuno dei tuoi personaggi esplode?

Sono fuori dalla storia, sono il narratore che osserva. Il burattinaio che sceglie di vedere come procedono quelli che si arrestano un attimo prima.

 

Il desiderio se non è appagato si trasforma in una tensione, una bramosia che è pura vitalità.

È straordinario non esaudire un desiderio, perché ti porta avanti e ti genera una tensione che non si esaurisce mai. Ho voluto raccontare un desiderio non consumato o che abbiamo accantonato. È assolutamente un atto generativo importante per un romanzo. Mi sono detto: devo e voglio utilizzarlo, perché io sono anche questa cosa qui.

Ti è mai capitato?

È terribile un’eccitazione imprigionata, a tutti è accaduto almeno una volta nella vita. Io sono un timido di indole, dico davvero. Uno che difficilmente esprime il proprio caos interiore. Sono uno che cela l’imbarazzo, se lo prova, prende quell’energia e la trasformo in altro e fa di tutto per nascondere i propri pensieri.

 Quali?

Quelli inconfessabili. Chi non ne ha?

La generazione dei trentenni e anche dei quarantenni di oggi vive i sentimenti in maniera ‘’provvisoria’’, relazioni instabili, ma anche precarietà lavorativa. C’è tutto questo nel tuo romanzo.

È fondamentale che io abbia fotografato un’epoca come la nostra che è una guerra silenziosa sentimentale: separazioni, dislocazioni, frammentazioni, non solamente verso un matrimonio, ma anche verso le relazioni amicali, sul lavoro, perché i sentimenti possono esserci anche in una tensione lavorativa, in una bellezza di amicizia. E noi li rompiamo costantemente, un giorno ci sono e un altro chissà. Una volta, la vecchia generazione, e questo è lo scontro del libro, aveva delle norme molto ferree per cui il matrimonio poteva reggere, anche se sei infelice, anche se sei non pienamente soddisfatto. Erano felicità faticose, ma erano comunque stabilità. Adesso abbiamo apparentemente una iper libertà che in verità è una iper prigionia, perché in realtà non riusciamo mai a tenere niente a lungo e siamo infedeli facilmente come se fossimo autorizzati. Oggi nasciamo già traditori, chi nasceva una volta probabilmente era doverosamente fedele. Mi interessa sapere cosa c’è nel mezzo, i grigi, non solo i bianchi e i neri.

"Margherita era la felicità, lui lo avvertiva con certezza. Ma ora avvertiva anche una zona franca venuta a delimitarsi in modo solido, capriccioso, inconfutabile: questa parte della sua mente sprigionava energia ogni volta che sfiorava l'idea di Sofia. Sofia adesso, chissà chi in un futuro. L'altra felicità". Possono coesistere due felicità?

Sì e crea un big bang. Perché se io ho una felicità con mio marito, con mia moglie, però poi ho un altro angolo del cervello, di cuore, dove può esserci un’altra felicità, mi domando: posso inseguire quest’altra felicità? Che cos’è quest’altra felicità? Le mie passeggiate in solitudine, va bene.  Se però è un’altra donna o un altro uomo, allora cosa crea rispetto alla prima felicità? E cosa toglie o aggiunge a me stesso avere un’altra felicità con un’altra donna o un altro uomo parallelamente? Questa è la domanda del libro. Ci sono anche delle non risposte. Una persona può avere due felicità in contemporanea e andare in cortocircuito. I meccanismi femminili e maschili sono quelli che accadono realmente nel mondo e mi sono stupito a vedere quante persone riescano a mantenere due felicità contemporaneamente.

A tuo avviso è possibile tenere insieme in equilibrio due felicità e non creare crepe in una delle due, e soprattutto in quella istituzionale, il matrimonio, la relazione ‘’ufficiale’’?

No, erodi qualcosa o da una parte o dall’altra      e, soprattutto, dentro di te però forse il risultato finale è una grande vitalità. E qui arriviamo all’epigrafe iniziale di Philip Roth ‘’Ecco come sappiamo di essere vivi sbagliando’’, l’errore come vitalità. I tentativi di tenere tutto insieme come vitalità.

Rispetto a Roth, uno dei tuoi modelli di scrittura di riferimento, tu sei sempre molto misurato e nella scrittura e nella caratterizzazione dei tuoi personaggi che non hanno slanci violenti come invece accadrebbe in Roth in cui forse virerebbero in un’esplosione o sbaglio?

Ogni personaggio è quasi ritorto su se stesso, non esplode, magari una virulenza sarebbe stata naturale.

 E allora come mai in questo romanzo ci sono quasi implosioni nei personaggi?

Perché è un romanzo incentrato non sulle scene madri, ma sulle scene figlie cioè sulla normalità di persone che in qualche modo non hanno il coraggio di arrivare al loro punto di libertà. Quindi la mia grande fatica è stata quella di arrivare nel quotidiano di quelle persone che non riescono a giungere nella parte più libera di loro, come è la maggior parte purtroppo. Invece io avrei voluto spingere sull’acceleratore, perché mi veniva molto più facile arrivare in quel lato dove c’è lo sfogo finale, dove c’è il coraggio finale, però molti non ce l’hanno. Lavorando due anni sui casi e sulle testimonianze, ho visto che nove persone su dieci arrivano a un atto di libertà buono ma si ritirano quando è il momento di raccogliere i frutti. Ho pensato: non è possibile, ma è la realtà rispettare questo, come possiamo definirlo… coito interrotto, si può dire? Mi ha fatto una rabbia pazzesca, le mani mi tremavano mentre scrivevo però dovevo essere fedele alla verità. Questo mi ha portato a non usare un principio Rothiano del ‘’sii ciò che sei’’, ma ‘’non essere ciò che sei’’ quindi a fermarti un momento prima di questa fedeltà completa e mi ha portato grandissima tensione narrativa in me. È controverso.

Ogni personaggio è un incastro di più voci in terza persona e non dice mai quello che vorrebbe fare. Per esempio, Margherita, la moglie del professore, usa ‘’sedere’’ invece di ‘’culo’’ non certo per una mia educazione che me lo impedisce, ma perché lei non ce la fa a dirlo, perché le esploderebbe il senso di colpa per quello che sta per fare.      Quindi ho dovuto anche rispettare le psicologie di questi personaggi un po’ ritratti, che esplodono invece in altre piccole cose ma non in quelle cose che devono andare. Questo mi ha portato un grande calibro sulla lingua, sulla scrittura.

Il personaggio di Margherita, la moglie, il sospetto di infedeltà nei suoi confronti da parte del marito, il professore, Carlo Pentecoste, come lo possiamo valutare? Lei sa tutto o si autoinganna? Crede veramente a quello che racconta il marito?

Lei sa tutto. Nel mio libro i personaggi femminili sono le finte vittime, in realtà sono quelle che comandano. Le mogli sanno sempre che un uomo vive di stereotipi e che quindi devono aggirare loro stesse, come fa Margherita, tutta la storia. Margherita, come tantissime donne, fa una doppia fatica, oltre ad avere un marito che forse ha fatto quello che ha fatto, deve pure amministrare la sua colpa. Perché noi uomini siamo tutti infantili su alcune questioni e sta alla donna, purtroppo, ancora una volta, farsi carico di questo se vuole tenere un ordine generale. Margherita alla fine l’ordine non lo vuole più tenere, e fa bene, e fa quello che fa, però soprattutto inchioda lui, che è un personaggio che vorrebbe essere in un certo modo ma non ce la fa, è l’esempio di una mediocrità maschile. È un libro dedicato alle donne che molto spesso fanno il lavoro sporco al posto degli uomini.

Fedeltà è dedicato a due donne, tua moglie Maddalena, ‘’ancora’’, e a tua sorella Silvia.

Sì, sono due donne che vivono in maniera molto simile la questione fedeltà e alle quali mi sono ispirato su alcuni aspetti. Per esempio mia moglie andava davvero da un fisioterapista e tornava a casa sempre felice. Ho scoperto che era un uomo molto bello, molto prestante, e allora invece di lasciarmi andare alla gelosia, ero gelosissimo, ho cominciato a cercare di capire.

Carlo si chiede ossessivamente quando è finita la sua giovinezza. È anche un romanzo in cui i protagonisti non riescono a diventare adulti.

È incredibile come molto spesso restiamo figli tutta la vita ed è incredibile come il personaggio più giovane, Sofia, diventi genitore del padre. È un gioco di generazioni, di cui Anna è la portatrice, la madre di Margherita e la suocera di Carlo, con tutti e due ha un rapporto simmetrico molto buono. In verità, lei si è liberata ed emancipata a 70 anni quando le è morto il marito. Prima è stata figlia del vecchio patriarcato, della vecchia generazione.

Anna si è liberata e ha capito che può dare delle direttive silenziose anche attraverso la letteratura a una coppia che non sa bene che pesci pigliare ed è forse l’unica non madre e non figlia di nessuno, perché ritrova la sua libertà. È anche il personaggio che dà una dignità a tutti gli altri.

Spingere a fondo con l’acceleratore oppure tenere tutto in ordine? La nostra esistenza ci pone spesso davanti a questa dicotomia. Per un’assurda associazione di pensieri esacerbati mi viene in mente Irvine Welsh e il suo ‘’Trainspotting’’ ma anche la trasposizione del film di Danny Boyle. Qual è la scelta?

In realtà nel mio epilogo non c’è rassegnazione, ma consapevolezza e questo fa la differenza con Welsh e Boyle.

Bisogna capire se l’ordine è realmente il risultato derivato da scelte personali autentiche o se stiamo tenendo tutto in ordine noi per non deflagrare. Questo porta a un sospetto molto più grave sul futuro ed è interessante sapere come molto spesso le crisi matrimoniali portino a una risoluzione o a un cambiamento che poi è un cambio di coscienza. Che cosa farebbero i miei personaggi dopo? Ci vorrebbe un sequel, che non si avrà mai, in cui, sono certo, farei esplodere tutto.

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