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Palazzi & potere
"La gente è sfiduciata dalla classe politica, pensa che “tanto sono tutti..."

Scrittrice e docente di lettere, nata a Bologna, classe ’75, Marilù Oliva è tornata in libreria con Biancaneve nel Novecento, Solferino libri, un romanzo emozionante che denuncia, tra le altre cose, l’orrore dei campi di sterminio. Le due protagoniste, Bianca e Lili, raccontano le proprie vite difficili intrecciandole con la Storia del Novecento. Bianca è una bambina all’interno di una famiglia che chiameremmo oggi disfunzionale, una mamma alcolizzata, Candi, che sembra essere anaffettiva. La sua esistenza è legata, anche se Bianca lo ignora, a quella di Lili, oramai ottantenne, superstite di Buchenwald, lager nazista in cui ha dovuto prostituirsi in una sezione denominata Sonderbau. Una realtà terribile spesso disconosciuta persino dalla Storia stessa che Oliva rimette in luce con grande sapienza.

Nel tuo romanzo ci sono episodi salienti del Novecento e c’è Lili che rappresenta l’orrore di quel Novecento, l’Olocausto, i lager nazisti. Credi che il nostro Paese faccia abbastanza per ricordare la sua  storia e stimolare una coscienza e memoria storiche?

Da un lato il nostro Paese ricorda, attraverso commemorazioni e giornate dedicate cui le Istituzioni prestano molta attenzione. Dall’altro c’è una tendenza alla smemoratezza generale, data dall’impoverimento di saperi come quello storico o sociale, ma anche dal disinteresse verso un presente la cui gestione si percepisce sempre più distante. La gente comune è un po’ sfiduciata dalla classe politica, pensa – erroneamente – che “tanto sono tutti uguali” e sta cedendo alla rassegnazione, mentre l’opinionismo spicciolo tende a sostituirsi all’informazione, soprattutto in alcune zone non tutelate (penso ad alcuni programmi televisivi purtroppo seguitissimi), creando distorsioni nella realtà e nella sua percezione.

Sei una giovane donna, per quale motivo hai scritto proprio del lager di Buchenwald, cosa ti ha spinto a documentarti così a fondo tanto da scriverne un romanzo?

Mi sono imbattuta per caso in un saggio molto bello, seppur agghiacciante: “I bordelli di Himmler”, redatto da Baris Alakus, Katharina Kniefacz, Robert Vorberg ed edito da Mimesis. Il mondo della prostituzione nei lager è una realtà trascurata per anni anche dalla storiografia ufficiale, che finalmente oggi la ricerca storica sta indagando. In quei luoghi si condensano le contraddizioni e le follie del regime nazista ma anche dell’animo umano, quelle povere ragazze indotte a prostituirsi subivano un duplice smacco: perdevano l’identità del proprio corpo e, allo stesso tempo, la reputazione. Gli altri prigionieri le disprezzavano, gli ufficiali le inquadravano come meri oggetti, perfino dopo la Liberazione vennero considerate ex-deportate di infimo livello. Parlo delle poche sopravvissute, perché molte di loro morirono, soprattutto a seguito delle malattie veneree contratte o perché, una volta sciupate quindi considerate “inadatte” ad esercitare, destinate agli esperimenti.

Il Covid ha segnato inevitabilmente le nostre vite sotto molti aspetti. Tu sei anche un’insegnante,  la Dad è stata molto criticata sia dal corpo docente che dalle famiglie e dai ragazzi stessi. Manca il corpo, manca la possibilità di relazionarsi davvero. Come ne escono gli insegnanti e la scuola pubblica italiana? 

La didattica in presenza è sempre preferibile, ma in una situazione di emergenza come quella trascorsa la didattica a distanza ci ha salvati: l’alternativa – non vedersi affatto, penso ai mesi del primo lockdown – avrebbe provocato danni peggiori. Pur con tutte le sue lacune, gli imprevisti e le difficoltà, la Dad ha permesso che proseguissero i programmi, ci ha concesso di mantenere una parvenza di contatto, un filo diretto, come se la scuola avesse potuto far sapere ai ragazzi che sarebbe rimasta, per chi lo voleva, un punto di riferimento. Senza contare che la Dad ha reso più “tecnologici” alcuni colleghi non ancora molto informatizzati. È chiaro che preferiamo tutti vederci di persona, guardare i nostri allievi negli occhi, parlare con un destinatario frontale di cui percepiamo emozioni e reazioni, ma uno schermo con qualcuno dall’altra parte, come soluzione momentanea, è meglio che l’assenza totale.

Che cosa ne pensi della attuale situazione politica italiana?

Le divergenze all’interno delle alleanze che han fatto crollare il governo sono da considerarsi un fallimento della politica? Questa è la percezione di molti, me inclusa. Ma non demordo e ciò che auspico dal nuovo assetto è – semplificando – una guida stabile che tenti di rimettere in piedi il Paese, organizzi un piano importante di vaccini, contempli il Recovery Plan e traghetti l’Italia verso un futuro più equo e sostenibile, con meno disuguaglianze sociali e magari più attenzione verso le disparità di genere, il mondo della sanità e della cultura. Il giorno in cui davvero ci saranno le stesse possibilità per tutti avremmo realizzato al cento per cento la vera democrazia. 

Ritieni che una scrittrice, in quanto tale, debba avere un senso civico più forte rispetto agli altri?

Non ho nulla contro i libri di intrattenimento puro, ma non mi interessa né leggerli né scriverli. Gli/le artisti/e che seguo sono quelli capaci di regalarci, attraverso le loro opere, una lettura inedita del mondo, uno sguardo diverso, magari provocato da uno scossone. Prendo a prestito le parole di Kafka: “Bisognerebbe leggere, credo, soltanto i libri che mordono e pungono. Se un libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo? […] Un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di noi”.

La donna in Italia e nella letteratura italiana credi abbia le stesse opportunità di un uomo e di uno scrittore uomo?

Un uomo – a parità di curriculum – ha più possibilità, è più potente contrattualmente, viene più letto e ottiene più riconoscimenti (spesso perché le case editrici puntano più sugli uomini che sulle donne). Sto generalizzando, ovviamente riscontriamo le dovute eccezioni. Brave autrici nelle quali gli editori hanno creduto. Vorrei comunque spezzare una lancia in favore dei nostri tempi, perché In Italia stiamo vivendo un momento particolare per quanto riguarda la disparità di genere. Un momento di denuncia e di condivisione, su vari livelli. Se ne parla, come dimostra anche questa tua bella domanda, si portano avanti progetti nelle scuole, ci si indigna per le ingiustizie e, anche se da un lato spesso assistiamo a episodi sconfortanti causati soprattutto da ignoranza, io ho fiducia in un futuro più consapevole, in direzione di un abbattimento di tutti i dislivelli.

instagram.com/mariagloria_fontana 

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