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Palazzi & potere

Il regime iraniano ha condannato a 148 frustate e a 33 anni di prigione l’avvocatessa di Teheran Nasrin Sotoudeh, 55 anni, colpevole di aver voluto difendere i contestatori politici del regime, fra i quali anche le cosiddette «ragazze della rivoluzione » accusate per essersi pacificamente tolte il velo per strada per poi sventolarlo come una bandiera. Che poi, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, è la bandiera della libertà loro e di tutte le donne come loro. L’avvocatessa Sotoudeh aveva già scontato tre anni di detenzione a partire dal 2001. Successivamente, pur avendone avuto la possibilità, non aveva nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di lasciare il suo paese, né quella di smettere difendere i connazionali che avevano bisogno del suo patrocinio. Il suo è un caso drammatico e crudele che ci interpella tutti e contro il quale i professionisti del diritto (che, in gran parte, sono lettori di ItaliaOggi, assieme ai componenti del mondo delle libere professioni) dovrebbero esprimere, in forma organizzata, il loro sdegno. Nasrin Sotoudeh è una dei nostri. Il mondo infatti è interrelato e i paesi sono sempre più vicini di quanto non sembri. La crudeltà istituzionale e la soppressione dei diritti e del diritto, in Iran (un paese che aveva una lunga tradizione culturale prima che fosse investito dell’ultimo imbarbarimento senza fine) non avviene in un’isola, impermeabile al resto del mondo ma rischia di diventare contagiosa. La libertà libero professionale, se viene difesa contro l’Iran, è difesa anche in Italia. La colata che sopprime la libertà infatti, anche se la consideriamo lontana e impossibile, ci insidia tutti. Va perciò prevenuta e il regime di Teheran deve sentire sul collo la presa indignata della riprovazione da parte dell’opinione pubblica contro queste sue scelte ignobili, nella sostanza e nella forma, come questa che adesso è a danno dell’avvocatessa Sotoudeh. Per fortuna, la vicenda raccapricciante dell’avvocatessa di Teheran si presta ad essere facilmente pubblicizzata perché questa avvocatessa è stata una dei protagonisti dell’eccezionale e bellissimo film autoprodotto dal regista iraniano Jafar Panahi dal titolo Taxi Teheran del 2015. Questo film, autoprodotto dal solo Panahi con mezzi rudimentali (due sole telecamere) racconta gli incontri e le discussioni, sull’auto di piazza di un tassista (il regista stesso) con la sua varia clientela, in una giornata qualsiasi, in giro per le strade affollate della capitale iraniana. Il film Taxi Teheran si è avvalso di pochissimi mezzi, non perché il regista volesse o dovesse risparmiare ma perché, a Panahi, il regime dei mullah ha imposto il divieto di girare dei film anche se lui è l’esatto opposto di un rivoluzionario. Anzi Panahi è un regista intimista, delicato, sottotraccia, un analista dei sentimenti, una specie, per rendere l’idea, di Vittorio De Sica dei tempi di Ladri di biciclette o un Ermanno Olmi de L’albero degli zoccoli. Fra i clienti del taxi di Panahi c’era anche l’avvocatessa Sotoudeh che recitava il suo ruolo professionale, in modo spontaneo e sorgivo, pur essendo già stata sotto il pesante attacco del regime iraniano. L’avvocatessa è così presa dal suo ruolo professionale che sembra una legale qualsiasi di Londra, tutta presa dalle sue carte e dai suoi impegni. Non recita a fare l’eroina, né la perseguitata, anche se ne avrebbe avuto materia. L’avvocatessa Sotoudeh, nel film di Panahi, interpreta spontaneamente (e apparentemente senza terrore) solo il suo ruolo di difensore dei diritti dei suoi clienti. Tutto qui. L’esistenza del film Taxi Teheran (che è un film gradevole e da largo pubblico, quindi favorevole all’audience televisiva) è uno strumento potente per portare all’attenzione dell’opinione pubblica italiana la tragedia di questa professionista incarcerata e fustigata per aver voluto fare, con onestà e senza violenza, il suo mestiere. Basterebbe che la Rai lo mandasse in onda (e noi speriamo che lo faccia) illustrando il motivo per cui il film meriti di essere riproposto oggi. Quella signora gradevole (e si può anche dire di tipo occidentale, che potrebbe essere percepita come una nostra distinta, ma anche accessibile, vicina di casa) è stata condannata, come si è detto, a 148 frustate e ad altri 33 anni di carcere dopo averne scontati, prima, altri cinque. La Rai è l’ente televisivo di Stato che dovrebbe anche far camminare le idee e diffondere e difendere i valori democratici. Quale miglior occasione di questa per fare conoscere questa tragedia che non è solo di un’avvocatessa ma di un intero popolo? E che ci vorrebbe, per il salotto di Lilli Gruber, su La7, parlo del migliore fra i talk show short, a interrompere per un giorno, un giorno solo, l’ombelicale dibattito sul nulla (che fine ha fatto Di Battista? Perché Salvini non porta più le felpe? Conte obbedisce più all’M5s o alla Lega?) per aprire il suo salotto al caso dell’avvocatessa iraniana fustigata e incarcerata? E perché, di questo tema, non dovrebbe interessarsi il principe dei talk, Bruno Vespa, che saprebbe sicuramente affrontare il tema con la sua proverbiale competenza? La storia dell’avvocatessa Sotoudeh, grazie al film Taxi Teheran, è una grande storia raccontabile a tutti, capibile da tutti. Il film infatti consente di portare la sua vicenda nelle case degli italiani, facendo loro toccare con mano la violenza belluina di sistema che viene coltivata e praticata a sole tre ore di aereo da casa nostra. Nel nostro backyard, nel nostro orto. Mi auguro che almeno la Rai non sprechi questa straordinaria occasione umanitaria e di civiltà che fa parte del suo compito istituzionale che è quello di far spalancare gli occhi agli spettatori su un problema di dignità. Un sistema che condanna alla fustigazione le donne (con 148 frustate, poi) merita di essere svergognato di fronte all’opinione pubblica italiana nella speranza che il regime di Teheran si vergogni. E ciò non solo in difesa dell’avvocatessa Sotoudeh. Ma anche di tutti noi.

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