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Palazzi & potere
Piazza Fontana fra verità storica e riconciliazione
fonte Perrino

«Non commetteremo l'errore di pensare che siano questioni relegate a un passato più o meno remoto», così Sergio Mattarella si è espresso sulla strage di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre 1969, denunciando un «cinico disegno» che negli anni ha fatto largo uso dei depistaggi di Stato. "Un'azalea in via Fani", il libro di Angelo Picariello, quirinalista di Avvenire, pubblicato per San Paolo Edizioni (su una ricerca promossa dall'Istituto di studi politici San Pio V) si muove su questo filone storiografico rilanciato di recente da Gianni Oliva, che il capo dello Stato mostra di condividere. Un'impostazione che su Piazza Fontana distingue fra «verità storica», accertata, legata alla strategia della tensione (la stessa che ha inchiodato esecutori e mandanti per la strage di Brescia), e «verità processuale» non acclarata, che fra lungaggini, prescrizioni e depistaggi non ha saputo indicare precise responsabiità individuali.

L'opzione armata, ha portato alla luce Picariello, era stata messa in campo già ai primi di novembre del 1969 nel corso di un raduno tenutosi al pensionato Stella Maris gestito della curia di Chiavari in cui, in pieno autunno caldo, si erano riuniti per alcuni giorni una settantina di militanti cattolici, sindacalisti e rivoluzionari provenienti da molte città del Nord. Il gruppo si spaccò sul "Libro giallo" di Renato Curcio redatto proprio in quell'occasione, che avvertiva circa la necessità di passare al più presto alla lotta armata. La riunione fu attenzionata dalla Digos di Milano, e quindi i contenuti conclusivi non erano sconosciuti ai nostri apparati di sicurezza. «Pezzi dello Stato - scrive Picariello - hanno dunque giocato sporco soffiando sul fuoco della rivolta e spingendo verso la lotta armata chi era già pronto a farlo. Ciò non elimina, certo, le responsabilità personali di chi si è macchiato da quel momento in poi di gravi delitti. Ma rende più doveroso oggi consentire una nuova possibilità a chi ha scontato la pena, e intraprendere la via della riconciliazione». E, come conferma Alberto Franceschini, se l'opzione era stata già considerata prima, fu la strage di piazza Fontana a dare l'idea a molti di loro che l'urgenza manifestata da Curcio fosse fondata e non ci fosse più tempo da perdere prima di imbracciare le armi.

"Un'azalea in via fani" si muove quindi sulla strada della riconciliazione fra vittime, ex della lotta armata, e istituzioni dello Stato. Un passaggio storiografico fondamentale in direzione della coesione auspicata da Mattarella, soprattutto in questa fase di pandemia. Un percorso che cui rimanda già il titolo del libro, che racconta di una visita che l'autore fece, in via Fani, insieme a uno degli ex capi delle Br, Franco Bonisoli a daporre una piantina di azalea davanti alle immagini degli agenti della scorta di Aldo Moro uccisi nell'agguato. 

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