Jp Morgan contro Banca Intesa. I poteri forti dietro il voto
Occhi di Trump e Merkel sulle urne in Italia. Ecco perché
Se non si guarda oltre il sipario, specie in questo momento di turbolenza in ambito nazionale ed europeo, per non dire mondiale, si finisce per dare credito a una rappresentazione superficiale e incompleta della realtà politica.
Un grande giurista e politologo del Novecento, inventore della dialettica amico-nemico come struttura portante della politica, ha scritto che in democrazia la stanza del potere è facile da illuminare, mentre resta complicato garantire che un fascio di luce possa investire l'anticamera del potere. Ora, in Italia, siamo esattamente in questa situazione.
La cronaca puntuale, scandita al ritmo del web, permette di conoscere i movimenti e le intenzioni dei protagonisti della scena politica. Dietro, invece, quel che condiziona tale livello è molto meno noto. Gli acrobati del potere, abituati a collegare economia e politica, osservano da tempo le mosse e le contromosse di ambienti finanziari interessati a capire quale possa essere il futuro prossimo dell'Italia. E, se possibile, condizionarlo.
Dietro le quinte, insomma, si dipana un duro confronto d'interessi, solo in parte assorbiti e rappresentati, in questa fase, sul terreno politico. La vera 'sfida' in atto nel Belpaese secondo quanto raccontano fonti di altissimo livello, è in realtà quella tra due importanti gruppi bancari: da una parte il colosso mondiale Jp Morgan e dall'altro la nostra Banca Intesa.
Il primo fa da sponda, in nome di un certo radicalismo trasversale di radice ebraico-americana, alla proposta di "rinnovamento" che oscilla tra grillismo, renzismo e berlusconismo; il secondo esprime invece, secondo tradizione, l'ancoraggio del mondo finanziario italiano al modello "culturale" classico del centro-sinistra (Prodi, Monti, Letta, Bersani, Pisapia tanto per fare alcuni nomi).
Banca Intesa, volendo semplificare, troverebbe più agevole interloquire con il mondo politico del nord, in particolare con quello milanese - da Sala a Pisapia (si vorrebbe Premier uno dei due ma c'è bisogno di tempo per organizzare le forze da qui la speranza di votare nel 2018) senza dimenticare le vecchie glorie alla Fassino - nella convinzione che l'Italia abbia bisogno più che mai di uno sforzo orientato a garantire coesione sociale e ripresa dello sviluppo. Ed anche la recente uscita del libro di De Bortoli viene letta in questo modo.
In questo senso, a sostegno di questa linea incentrata su una sorta di progressismo nella continuità, c'è l'apporto esterno di Francia e Germania: sono i mondi di riferimento. Ed anche l'uscita del libro di De Bortoli non viene ritenuta casuale.
Ma in realtà tale strategia è stata presa in contropiede dall'accelerazione di Matteo Renzi (che ha scoperto il gioco) verso il voto anticipato.
Dunque, dietro le quinte, nelle dinamiche della finanza si può leggere il dato sottostante alla "confrontation" in atto tra l'America di Trump e l'Europa di Macron e Merkel: infine, in una logica più serrata e contingente, la competizione sarebbe tra "partito americano" (Renzi, Grillo, Berlusconi) contro "partito europeo" (Prodi, Letta, Bersani, Monti, Confindustria, sindacati ecc).
Infine Mattarella: sarà il decisore ultimo, colui che decreterà la vittoria o la sconfitta. Ma di chi?