Una riflessione del giovane Aldo Moro sulla disaffezione degli elettori - Affaritaliani.it

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Una riflessione del giovane Aldo Moro sulla disaffezione degli elettori

UNA RIFLESSIONE DEL GIOVANE ALDO MORO SULLA DISAFFEZIONE DEGLI ELETTORI
 

Questa riflessione di un giovanissimo Aldo Moro, scritta all’indomani della seconda guerra mondiale e nella fase ricostruttiva della democrazia italiana, ruota attorno alla disaffezione degli elettori da lui rispettosamente definiti “indipendenti”. Oggi questi elettori possono essere trovati e riconosciuti nell’area dell’astensionismo: sono i nuovi indipendenti. Come insegna Moro, scrive Il Domani d'Italia, non bisogna deprecare il loro comportamento, ma comprendere le ragioni che ne determinano l’esistenza. Spetta a una classe dirigente matura e responsabile ripristinare la fiducia nelle istituzioni e nella politica, cercando in questo modo di motivare il ritorno alle urne di tanti nostri concittadini.
 

GLI INDIPENDENTI

Forse è giunto il momento di parlare con serenità degli indipendenti, chiamati, per lo più con intenzione di scherno, apolitici, ma dei quali si comincia oggi a riconoscere che costituiscono il partito più consistente tra tutti e che decideranno in sede di elezioni, solo che si muovano, le sorti dell’Italia. Bisogna parlare onestamente, con serenità appunto, mettendone in luce torti e ragioni, sforzandosi di determinare gli orientamenti, giustificandone soprattutto, come possono e debbono essere giustificati, gli stati d’animo.

Perchè la prevalente apoliticità di questo momento squisitamente politico non è certo un capriccio: nè può ridursi tutto ad inerzia, inintelligenza, difetto di energie morali. Di volta in volta anche questi elementi possono entrare come determinanti e si spiegano del resto benissimo con il crollo spirituale del nostro paese. Ma non è tutto qui. Chi si libera del problema con quel giudizio, con quella condanna, chi crede di poter accantonare con malcelato disprezzo gli apolitici, per procedere senza e contro di loro, sbaglia di molto e si preclude la via ad una effettiva riforma spirituale e politica in Italia. Perchè al di là dell’inerzia, della incomprensione, della stanchezza, c’è un motivo infinitamente più nobile che fa repugnare all’organizzazione di partito, così come si presenta, almeno, in questo momento, ed è un desiderio fervido ed incoercibile di libertà, ed è lo sdegno per le discipline coattive o vincolanti con sottile perfidia, ed è, sopratutto, la volontà di non adattarsi alle meschinità, alla lotta delle ambizioni, al compromesso.

Si potrà obbiettare che questi aspetti negativi non sono essenziali affatto alla vita dei partiti, che questi, anzi, sono in linea di principio espressioni e palestra di libertà, organismi di educazione, strumenti di onesta selezione. Ma sta di fatto che, il più delle volte, le cose non vanno affatto in questo modo e che precisamente vi sono motivi di intransigenza morale che riescono validamente ad allontanare dalla vita dei partiti.

Questa situazione è certo molto spiacevole, perchè sottrae energie e impedisce l’uso di strumenti adatti all’opera di ricostruzione del paese, mentre dimostra, attraverso questa esperienza negativa, che la corruzione, il malcostume, la superficialità, la grettezza erano, nello scorso ventennio, assai più profonde e diffuse che non si potesse pensare, e perciò difficilmente eliminabili con una rapida azione. Ma la situazione è quella che è e bisogna prenderne atto. Non tutte le colpe sono degli apolitici: non è questione solo e tanto di leggerezza, incostanza, insensibilità.

I partiti, dobbiamo riconoscerlo, i piccoli e i grandi partiti, gli ufficiosi, i privati, gli ufficiali, per un complesso di ragioni, che si possono esprimere molto incompiutamente parlando di radicale incapacità e di mancanza di sensibilità spirituale e morale, son venuti meno al loro compito. Non hanno saputo interpretare le profonde, umane aspirazioni delle masse, non hanno, neppure, saputo educare, quando quelle aspirazioni si rivelavano invece inumane e distruttive. Certo è che questa

esperienza associativa è fallita, che, contrariamente alla diffusa ed ansiosa aspettazione, per questa via non si riesce a costruire una comunità umana sentita, uno Stato, cioè, che non sia esteriore e costrittivo.

Delle colpe degli apolitici, delle responsabilità che essi stessi hanno per questa situazione, per inerzia e disinteresse, per mezzo di sdegni morali mentre è necessario accettare la situazione storica com’è, per poterla opportunamente modificare, noi non parliamo, perchè troppo già se ne è detto.

Ci preme piuttosto gettare luce sul momento, sullo stato d’animo di cui si diceva e che vale anche di fronte al partito ideale per larghezza di vedute ed effettiva libertà negli indirizzi; su quell’ansia di libertà, su quell’attesa di una esperienza totale, profonda, dominatrice, in una parola, metapolitica, la quale impedisce che la persona si lasci costringere nello schema tecnico ed esteriore del partito politico, che accetti questa via, come l’unica o almeno la principale, per ritrovare se stessa e gli altri uomini in questo momento di confusione e di dispersione.

Questa è un po’ insufficienza della politica per quel che è la sua propria natura con i suoi particolari obbiettivi e le sue lacune; un po’ insufficienza di una particolare struttura politica. Entrambe le insufficienze sono reali e pericolosissime. Chi ha preteso e pretende di affrontare il problema della rinascita dell’Italia dopo tante dolorose sciagure, della rinascita del mondo, dopo che esso è passato così rasente all’abisso del nulla, con strumenti puramente politici, non conosce e rimpicciolisce paurosamente l’anima umana. Quegli non sa, che cosa siano il dolore e la stanchezza, che cosa voglia dire e da quali complesse risorse emerga una ragione di vivere.

Qui non si tratta di economia, o di problemi di formale libertà: qui non si tratta di un assesto istituzionale e di una epurazione vendicativa. Sono in gioco interessi ben più vasti; si mira a ben altri orizzonti: si lavora per un diverso, e finalmente decisivo, ritrovamento. Questo è un problema ideologico, o, se vogliamo pronunziare una parola equivoca e pericolosa, di fede. Un partito ha vitalità in ragione della sua capacità di esprimere una ideologia, di non coartarla, di non impoverirla, di non esaurirla nel suo schema tecnico, nella sua esigenza di organizzarsi, per combattere. Al di là di un certo limite questo sforzo di adeguamento non è possibile: il lavoro, che vi si spenda, è condannato a non riuscire. Gli apolitici accentuano questa crisi; propongono un problema di sostituzione, dove invece dovrebbe impostarsene uno di integrazione.

Ma la crisi, così rivelata per una reazione eccessiva, per una esasperazione unilaterale, si manifesta in tutta la sua gravità. Non possiamo continuare a dare al mondo il surrogato di quello che cerca; non possiamo stordirlo con una politica quale che sia, mentre esso chiede sopratutto chiarezza e ragioni di agire, per riverberare poi quella luce nella politica come su ogni altra esperienza che serva all’uomo.

Notavamo più sopra che v’è, inoltre, l’insufficienza di una particolare struttura politica, di una rigida organizzazione, cioè di partiti contrapposti, ai quali sfugge fatalmente la minuta insignificante esperienza di vita quotidiana di coloro che vi aderiscono. Se per un verso il partito è qualche cosa di troppo tecnico, troppo concreto, di respiro ridotto e stentato, per un altro verso esso ha una base troppo generica e incerta di reclutamento, non ha, in una parola, un suo ambiente, un ambiente che sia naturale. L’uomo è chiamato a parteciparvi come <<homo politicus>> e questa è astrazione e falsità. L’uomo è intero e indivisibile e, come ha un ineliminabile residuo ideologico insofferente degli schemi organizzativi, così pure, quando accetta questi ultimi per una inderogabile necessità, vuol riflettervi la sua vita con tutti i motivi che la sollecitano.

Ciò manifesta una naturale superiorità delle associazioni sindacali nei confronti dei partiti, anche se quelle hanno, a loro volta, tentazioni e pecche di unilateralità. I mezzi di soluzione della crisi, se
vogliamo lanciare appena un timido sguardo verso l’avvenire, sono in una larga ed equilibrata integrazione di organismi diversi e diversamente espressivi, i quali convoglino gli interessi e le aspirazioni multiformi delle masse popolari. Ma, come che sia di ciò, resta il fatto del disagio comunemente avvertito, e la presenza degli indipendenti costituisce un serissimo monito per i molti facili interpreti e frettolosi riformatori della vita sociale e politica italiana di oggi.