Politica
Primarie, una lezione non solo per il Pd
di Massimo Falcioni
Quando come ieri a Roma, il flop delle primarie del centrosinistra è inequivocabile superando le più pessimistiche previsioni, è anche troppo facile cercare capri espiatori o rifugiarsi nella solita frase che dice tutto e niente: “il problema è politico”. E se il problema è politico la riflessione non può che partire da chi ne è al vertice, in questo caso il segretario-premier Matteo Renzi che puntava su questo appuntamento per dimostrare la vitalità del suo Pd e perciò ci aveva messo la faccia chiamando i romani non solo a votare il “suo” candidato Giachetti ma a riempire in massa le urne.
Giachetti ha vinto ma l’affluenza è stata del 50 per cento inferiore – poco più poco meno – a tre anni addietro, quando vinse Marino, poi diventato sindaco. Ovvio che sulla disaffezione alle urne hanno pesato i mille limiti ed errori precedenti, quelli della giunta Marino, ma anche prima. Poi ha pesato l’opacità politica e di immagine del candidato renziano, sostenuto dal partito-apparato-istituzione ma incapace di far breccia sul cosiddetto voto d’opinione.
Ciò dimostra che, specie a Roma, i gazebo non “tirano” più, si perdono nel caos dei mille problemi irrisolti della metropoli con i cittadini stretti nella morsa della propria delusione e indifferenza. Il solito immediato battibecco sofistico e strumentale nel pollaio dei cosiddetti partiti, oltre che inutile e sterile, accresce il solco fra Palazzo e gente normale, cui rimane – come risposta – solo il forfait dalle urne: ieri dai gazebo e il prossimo 5 giugno per le elezioni comunali, dai seggi elettorali. E’ il solito refrain imposto da una classe politica mediocre e fuori dalla realtà, nella melma del connubio politica-affari, quando non apertamente truffaldina.
Tutto qui? No. Perché il segnale delle primarie di ieri va al di là dei problemi di un solo partito o di un solo schieramento investendo la democrazia italiana e più in generale la democrazia europea e dei Paesi occidentali, USA compresi, come dimostrano le stesse primarie, con Trump e compagnia cantante. Da anni, specie in Italia dopo la caduta traumatica della prima Repubblica, la partecipazione dei cittadini alla vita politica e anche al voto è scemata come non mai ponendo l’interrogativo sul valore e sul ruolo della rappresentanza nell’era della globalizzazione, dentro una crisi feroce non solo economica ma di valori , nella rivoluzione della comunicazione dovute alle nuove tecnologie.
La democrazia, negli ultimi decenni – superate non senza danni le sbornie ideologiche - ha retto grazie a un potere politico e istituzionale in grado di spalmare più o meno a tutti i frutti di una pianta (quella del progresso e di una economia sempre in crescita) considerata in perenne fioritura e in buona salute. Così i cittadini stavano al gioco della partecipazione democratica, partecipando alla vita politica, godendone dei frutti, pur se in modo discontinuo e non proprio equo.
I morsi di una crisi economica infinita e lo spettro della sicurezza legato al dramma dell’immigrazione ha confermato l’inadeguatezza di questa classe politica e ha dato l’ultima spinta per mettere ko la partecipazione e gettare la democrazia nel bordo di una pericolosa voragine. Indietro non si torna e oggi la sfida della democrazia in Italia non si vince riverniciando le insegne di botteghe fallite o scimmiottando con i gazebo la rivoluzione culturale cinese bensì coniugando in modo nuovo il rapporto fra politici e cittadini, fra amministratori e amministrati, “sporcandosi le mani” con le straordinarie novità, a cominciare dagli strumenti di comunicazione, indispensabili per creare l’immagine del leader e per acquisire consenso.
E’ la “democrazia del leader” formata da una partecipazione democratica che salta i passaggi intermedia di un tempo (la sezione, l’assemblea, ecc.) incentrata sui media, internet in primis, pur se non in modo esclusivo. Berlusconi l’aveva anticipato 20 anni fa con la democrazia dei salotti tv. Poi è arrivato Grillo con la “democrazia diretta” sui social network.
Entrambi superati nei loro limiti politico-culturali ma entrambi in campo. Possibile che non c’è una “terza via” ridando al cittadino il potere di partecipare “sul serio” e di decidere poi con il voto chi lo rappresenta? L’aforisma che “il mezzo è il messaggio” vale oggi più di ieri. Ma un leader senza popolo è solo la caricatura di un dittatore e una democrazia incentrata sull’esecutivo senza lacci e lacciuoli e sulla magistratura non sempre super partes diventa via via sempre più asfittica, chiusa nelle proprie casematte. Così al cittadino resta solo la fuga dalla politica e dal voto illudendosi di contare con un clic sul proprio pc.