Referendum, probabile affluenza alle urne attorno al 30%. Per la sinistra è un rischio boomerang - Affaritaliani.it

Politica

Referendum, probabile affluenza alle urne attorno al 30%. Per la sinistra è un rischio boomerang

L'8 e il 9 giugno sarà anche un test politico. Analisi

di Alessandro Amadori, politologo e sondaggista

Referendum 8 e 9 giugno: i quesiti e la sfida politica tra affluenza e astensione

L’8 e il 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativi. Quattro riguardano il lavoro e uno la cittadinanza. Eccone il dettaglio:

1.    licenziamenti illegittimi: ripristino del reintegro obbligatorio per i lavoratori licenziati senza giusta causa (scheda verde);
2.    indennità nelle piccole imprese: eliminazione del tetto massimo all’indennizzo per licenziamenti illegittimi (scheda arancione);
3.    contratti a termine: reintroduzione dell’obbligo di causale per contratti inferiori a 12 mesi (scheda grigia);
4.    responsabilità solidale negli appalti: ripristino della responsabilità condivisa tra committente, appaltatore e subappaltatore per infortuni sul lavoro (scheda rosa);
5.    cittadinanza: modifica delle norme sull’acquisizione della cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia e ritorno al periodo di cinque anni al posto dei dieci attuali.

Secondo i sondaggi, i temi del lavoro — in particolare quelli legati alla precarietà e ai diritti dei lavoratori — sono percepiti come molto rilevanti da una fascia ampia della popolazione, soprattutto tra i giovani e i lavoratori del settore privato. Il quesito sulla cittadinanza, invece, divide l’opinione pubblica e ha una risonanza più forte nei centri urbani e tra gli elettori progressisti.

Il vero ago della bilancia sarà l’affluenza. Trattandosi di referendum abrogativi, è necessario il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto. Secondo un sondaggio Izi, l’affluenza potrebbe arrivare al 40%, ma anche questo ragguardevole risultato, ammesso che venisse raggiunto, non basterebbe. La strategia dell’astensione, promossa da alcuni partiti di maggioranza, potrebbe rivelarsi decisiva.

Tra chi ha dichiarato che andrà a votare, i “Sì”, come da tradizione, risultano in vantaggio su tutti e cinque i quesiti, con percentuali abbastanza elevate. Tuttavia, l’incognita resta l’effettiva partecipazione: se il quorum non verrà raggiunto, anche una vittoria schiacciante dei “Sì” resterà priva di effetti giuridici.

Il referendum potrebbe trasformarsi in un boomerang per la sinistra, promotrice dei quesiti, se l’affluenza sarà bassa (diciamo non superiore al 25%): un flop rafforzerebbe la narrativa dell’irrilevanza delle battaglie progressiste. Se invece l’affluenza fosse fra il 25 e il 40%, la partita referendaria si chiuderebbe, nella dialettica fra maggioranza e opposizione, con un sostanziale pareggio. Se poi si salisse tra il 40 e il 50%, le forze di sinistra potrebbero dichiararsi soddisfatte, avendo dato dimostrazione di una buona capacità di mobilitazione, su temi comunque sentiti come importanti da una minoranza, ma decisamente ampia.

Infine, se il quorum venisse superato e i “Sì” prevalessero, la maggioranza di governo (che ha scelto la linea dell’astensione) potrebbe uscirne indebolita, accusata di aver ignorato temi sociali centrali e posta di fronte a una forte convergenza unitaria di tutti gli elettori che si riconoscono nell’opposizione.

A pochi giorni dal voto, l’esito dei referendum resta incerto. Lo scenario più probabile appare quello di una partecipazione al voto attorno al 30%, non abbastanza per far parlare di ottima performance delle opposizioni. Ma una cosa è chiara: quello di inizio giugno non sarà solo un voto sui quesiti, ma anche un test politico sulla capacità dei partiti di mobilitare (o disinnescare) l’elettorato proprio (o della concorrenza).