Politica
Referendum, sindacati in cerca di visibilità politica: l'appuntamento dell'8 e 9 giugno sarà un test "elettorale" per la CGIL di Landini
Si avvicina l’appuntamento con i referendum, ma l’attenzione non decolla. E i sindacati sono già pronti a prendersi spazio e visibilità... Commento

Referendum e sindacati: la CGIL alla prova del voto tra politica e rappresentanza
Si avvicina l’appuntamento con i referendum, ma l’attenzione non decolla. C’è chi discute sul diritto e sul dovere di partecipare al voto: di fatto i cinque quesiti (quattro relativi alle normative sul lavoro, uno sulle regole per la cittadinanza) richiedono una forma di democrazia binaria. O sì o no. Si dirà che nemmeno le consultazioni elettorali richiedono qualcosa di diverso, almeno in relazione alla preferenza da manifestare: anche qui c’è un sì o un no, relativo alla singola lista prescelta. L’elettore è stato privato da anni della possibilità di orientare la scelta esprimendo il nome del suo candidato preferito.
Resta il fatto che si tratta di una iniziativa a trazione sindacale: i partiti, compresi quelli dell’opposizione (e quindi propensi all’iniziativa abrogazionista) non sono d’accordo su tutto. Quasi su niente. Si tratta di un referendum in cui la Cgil sembra voler fare un grande test sul suo seguito “elettorale”, ma in forma diversa. La natura vorrebbe la democrazia sindacale come esercizio all’interno delle organizzazioni, invece la Cgil – e il suo leader Maurizio Landini - continua a fare le prove per un diretto protagonismo politico.
Il sindacato – almeno la Cgil, ma non solo – ha deciso di fare politica, mentre il suo mestiere dovrebbe essere da sempre quello del negoziato, a livello territoriale e a livello nazionale: la tutela dei lavoratori ha un suo massimo livello di impegno che coincide con la contrattazione. Eppure, sempre più spesso, questo è il terreno dove il sindacato si esibisce con minore applicazione e incisività. Lo si vede da quanto la politica – almeno alcuni partiti - rivendichi la necessità di fissare, a esempio, un minimo retributivo, a prescindere dalla produttività, dal negoziato, dal confronto serrato tra diritti e doveri delle parti sociali coinvolte.
Insomma, lo scambio dei ruoli è in corso, da tempo. L’appuntamento di giugno offrirà una nuova verifica circa la voglia di visibilità politica del fronte sindacale (leggasi sempre Cgil e Landini). Eppure, il mondo sindacale, a detta di molti, non ha ancora le carte in regola per ricevere una patente di legittimità democratica. Non certifica gli iscritti né i bilanci, non ammette controlli sul finanziamento, pur essendo direttamente e indirettamente coinvolto in ogni erogazione di servizio pubblico, come intermediario obbligato con la Pubblica Amministrazione, o come ente formatore nel mondo del lavoro.
C’è persino chi ritiene l’attività sindacale sostanzialmente in deroga rispetto a quanto espressamente previsto dall’articolo 39 della Costituzione, che di fatto non è mai stato articolato da una legislazione conseguente. L’inadempienza, circa la registrazione dei sindacati, rende impossibile rispondere a chi chiede quanti e quali sono, quindi, i sindacati in Italia? Cosa non di poco conto, non solo in relazione alle regole della democrazia, ma soprattutto per evitare quella frantumazione della rappresentanza che rende spesso difficile l’esercizio dei doveri, oltre che quello dei diritti.
Non solo, la battaglia rinnovata – e a dire il vero sostanzialmente anti-storica – a favore del ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, non tocca il sindacato come datore di lavoro. Eh sì, i dipendenti delle organizzazioni sindacali, e non sono pochi, non sarebbero tutelati: in realtà per loro, come per i dipendenti dei partiti politici non c’è mai stata tutela, esplicitamente esclusa da una legge dello Stato, che nessuno ritiene opportuno abrogare per iniziativa parlamentare né con iniziativa referendaria.