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Referendum sulla Giustizia, rischia più Elly Schlein che Giorgia Meloni
Schlein sa che il referendum è in bilico e rischiare una nuova sconfitta può davvero essere esiziale per la sua già non stabilissima leadership. E quindi...

Referendum sulla Giustizia, rischia più Elly Schlein che Giorgia Meloni
C’è un particolare accaduto dopo l'approvazione della riforma della giustizia del Senato di giovedì scorso, per certi versi singolare, ma che è sintomatico del clima che si respira nel centrodestra. Non appena il Senato ha approvato in via definitiva la riforma della giustizia, dai banchi del centrodestra sarebbe immediatamente partita la macchina organizzativa per la raccolta firme per il referendum confermativo. Per qualcuno forse il particolare potrebbe anche essere ritenuto di poco conto, ma invece rappresenta un chiaro segnale del fatto che il centrodestra, non solo, come è ovvio crede che la riforma sia giusta, ma anche che i cittadini voteranno sì al referendum.
Il centrosinistra, invece, che proprio nel referendum dovrebbe puntare molte delle sue carte, non solo per far bocciare la riforma, ma soprattutto per dare una spallata al governo, appare ancora una volta piuttosto smarrito. E più di tutti lo appare proprio Elly Schlein, che in cuor suo sa bene che forse a rischiare molto di più dall’esito del referendum è proprio lei, più che la premier Giorgia Meloni. Qualcuno, fino a poco tempo fa, arguiva, senza troppa convinzione in realtà, che per la premier si potesse ripetere quello accaduto gusto dieci anni fa a Matteo Renzi, costretto a dimettersi dopo avere perso appunto un referendum confermativo.
Ma questi facili profeti di sventura non hanno forse tenuto in conto il fatto che proprio questo precedente ha probabilmente convinto Giorgia Meloni, di non personalizzare troppo l’esito del referendum, e tanto meno di considerarlo come una questione vitale per lo stesso esecutivo, come invece fatto da Renzi. “Io credo che" debba essere una consultazione sulla giustizia. Intanto perché non ci saranno in ogni caso conseguenze per il governo. Noi arriveremo alla fine della legislatura, chiederemo agli italiani di essere giudicati per il complesso del lavoro che abbiamo fatto”. Ha detto la premier dopo il voto al Senato. Una eventuale sconfitta nel referendum (ad oggi assai improbabile, considerato che un recente sondaggio Izi per la7, ha certificato come il 71% degli italiani sarebbe favorevole alla riforma) quindi difficilmente avrebbe pesanti ricadute negative sull’esecutivo, anche se sicuramente non aiuterebbe in vista delle politiche del 2027.
Mentre una vittoria dei sì potrebbe, invece, dare ulteriore slancio alla coalizione verso una chiara vittoria alle politiche. E potrebbe, secondo alcuni osservatori, addirittura convincere la premier a provare, con il vento in poppa, il colpo delle elezioni anticipate in autunno, approfittando di una ancora più spaesata opposizione. Ed è per questo forse che anche dal Nazareno si sono affrettati a negare che quello sulla giustizia possa diventare un referendum sull’esecutivo. Questo anche perchè, come detto, la Schlein sembra trovarsi in una posizione più scomoda della sua rivale La levata di scudi dell’Anm, che ha costituito due giorni fa, un comitato per il no, agli occhi di molti avvalora la tesi che ci sia un parte della magistratura politicizzata, e che per questo occorra, come propone la riforma, una separazione delle carriere e il sorteggio degli organi di controllo. Questa mossa ha creato, narrano fonti interne al Pd (da sempre considerato partito di riferimento dell’ANM) un certo imbarazzo nel partito, in chiara difficoltà a negare che alcune organizzazioni di magistrati entrano a gamba tesa nel dibattito politico. In secondo luogo la segretaria dem deve fare i conti con una parte del suo partito che ha già manifestato disagio verso le posizioni contrarie alla riforma, e con alcuni big che avrebbero già detto che voteranno sì. Da Vincenzo De Luca a Goffredo Bettini, dal dalemiano Petruccioli a Stefano Ceccanti, ex senatore Pd e costituzionalista che sul Foglio firma un articolo in cui spiega perché la riforma sulla separazione delle carriere è sacrosanta. Molti insomma sembrano pensarla come Maurizio Martina, quando appunto nel 2019, da segretario del partito, scriveva nella sua mozione ( votata anche da Debora Serracchiani, attuale responsabile giustizia del partito) “Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”.
La lista dei “ribelli è lunga e soprattutto farcita di big del partito come Goffredo Bettini, il “guru”, che qualche mese fa si pronunciò a favore: “Ritengo che la separazione delle carriere nella magistratura possa rappresentare un passo importante, persino doveroso, nella direzione di una maggiore terzietà del giudice”, specificando che “non è una bandiera ideologica”. Mentre l’ex viceministro Enrico Morando va giù duro ancora una volta con una linea del partito che sembrerebbe fare a pugni col suo passato e la sua storia recente: “Ciò che mi pare inaccettabile è che la lunga esperienza della sinistra di governo nel corso di decenni venga completamente obliterata”.
Tanti i nomi del mondo dem che si dichiarano favorevoli alla riforma: il vicepresidente ed ex parlamentare Stefano Ceccanti, la deputata milanese Lia Quartapelle, Claudia Mancina, Giorgio Tonini, Irene Tinagli, Umberto Ranieri, Cesare Salvi, ex ministro del lavoro. Insomma il rischio è quello di allargare ulteriormente la già nutrita schiera di contestatori. Non è un caso che la segretaria del Pd è tutto il vertice del partito fino ad ora almeno non si sia distinto per una dura opposizione verso la riforma. Schlein sa che il referendum è in bilico e rischiare una nuova sconfitta può davvero essere esiziale per la sua già non stabilissima leadership. E quindi si trova ora di fronte ad un dilemma, dare retta al suo istinto, come fatto fino ad ora, e quindi andare giù pesante sul referendum, rischiando però in caso di sconfitta, di esserne travolta, oppure mediare e dare ascolto a chi anche nel suo inner circle la invita ad essere prudente, ed aspettare magari qualche errore degli avversari. Insomma toni sobri, memore anche di quello accaduto con il referendum sul Jobs Act.
Qualcuno nel Pd avrebbe fatto notare alla segretaria che in questo momento sarebbe forse meglio evitare lo scontro frontale con Giorgia Meloni, perché probabilmente ne uscirebbe a pezzi. E a sentire il tono degli ultimi interventi in aula della segretaria, forse per una volta la Schlein si sarebbe convinta a dare retta a questi saggi consigli.
