Elezioni, la maschera che Renzi deve gettare molto presto - Affaritaliani.it

Politica

Elezioni, la maschera che Renzi deve gettare molto presto

Massimo Falcioni

Renzi e Berlusconi, dopo i ballottaggi accordo anti Grillo su elezioni anticipate e governissimo?

I ballottaggi comunali di domenica 25 giugno, più che alla politica, sono legati al meteo. Se dominano sole e calura, sarà corsa al mare e non alle urne e l’affluenza toccherà punti ancora più bassi del primo turno, da record negativo. Una sconfitta annunciata per partiti e candidati? Sì, con sindaci che ovunque saranno eletti da una minoranza di cittadini, quindi con una corretta legittimità costituzionale ma una credibilità politica ridotta al lumicino, quanto meno inadeguata. Ciò è solo un dettaglio per i vari leader interessati a mettere le loro bandierine sulle torri dei municipi soprattutto per il messaggio politico nazionale che comunque il voto del 25 giugno trasmetterà nella prospettiva delle prossime elezioni politiche, anticipate o no.

Al primo turno dell’11 giugno, come noto, il M5S è stato messo fuori dai principali ballottaggi pagando per la sua inconsistenza territoriale e per il tentativo di accordo sulla legge elettorale fra Grillo, Renzi, Berlusconi, visto come inciucio; il Pd ha schierato il suo potere locale ma ha perso consensi evitando però la debacle; il centrodestra ha ripreso vigore e voti. Saranno i ballottaggi, appunto, a decretare vincitori e vinti. Con gli elettori del M5S ago della bilancia: indecisi fra astensionismo e il voto “contro”, votando i candidati del centrodestra per punire e indebolire il Pd e Renzi in vista delle politiche, o viceversa, votando pro centrosinistra perché c’è sempre un nemico più nemico, in questo caso meglio il “Rottamatore” di Rignano che il rais di Arcore. Chissà. Chi rischia di più è il Partito democratico: o i suoi candidati sindaci sono in grado di presentarsi come espressione di una vasta alleanza di centrosinistra o la sconfitta è certa, a cominciare da Genova.

Ma c’è una linea nazionale o ognuno gioca per proprio conto? Invece di analizzare i segnali del voto dell’11 giugno i vertici del Pd si sono limitati a gongolare per l’insuccesso grillino ignorando le pesanti conseguenze politiche prodotte da un possibile ko del Pd nei ballottaggi. Quali conseguenze? Sarebbe il de profundis della vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, l’impossibilità del Partito democratico di vincere le elezioni “da solo” senza alleanze, l’addio della concezione egemonica del Pd sul fronte del centrosinistra, il fallimento della strategia renziana dell’uomo solo al comando di un partito personale capace di vincere le elezioni e di governare senza lacci e lacciuoli di minoranze interne e di alleati scomodi, l’addio al partito della Nazione.

La partita è aperta. Saranno poi le elezioni politiche a deciderla con gli italiani sfiduciati e disorientati. Nessun partito, privo com’è di radicamento, di identità, di programmi concreti, di progetti, di valori fondanti, di selezione democratica dei gruppi dirigenti, ha oggi un rapporto diretto e certo con il “suo” popolo. La spinta del grillismo non è finita con il voto negativo delle comunali perché il M5S interpreta malcontento, sfiducia, rabbia esistenti ovunque in ogni strato sociale e perché è la politica ad essere latitante, fatta di promesse e di slogan, di finto rinnovamento, senza un pur minimo barlume di capacità e volontà di ricostruzione. Centrosinistra e centrodestra hanno perso in pochi anni oltre dieci milioni di voti, elettori senza più casa, rifugiati o nell’astensionismo o nel M5S, anche frutto di vent’anni di maggioritario.

Al di là delle apparenze, il centrodestra e il centrosinistra temono il M5S anche in questi ballottaggi perché, va ribadito, saranno gli elettori grillini a fare pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Il 25 giugno Berlusconi, pur strumentalmente, con il cerotto e ob torto collo e pro tempore, terrà insieme il centrodestra per rappresentarlo poi da “vincente” in qualsiasi tavolo di trattativa, con chiunque. C’è da dubitare che Renzi saprà fare (o vorrà fare) altrettanto nel centrosinistra. Renzi, presto nel bivio, sarà costretto a gettare la maschera, decidendo quale strada prendere, con chi andare, per fare cosa. Da soli, Matteo e il suo Pd non ce la fanno, rischiando addirittura di scendere al terzo gradino del podio dietro al centrodestra e al M5S. Quindi: o un patto con la sinistra o una alleanza con Berlusconi.

La terza via non c’è. Specie con una legge proporzionale che – mai dire mai! – potrebbe ancora passare proprio con un accordo tra il segretario dem e il capo di Forza Italia, con lo sbocco in zona Cesarini del voto politico anticipato in autunno 2017. L’esecutivo Gentiloni ha un percorso minato e quindi è ogni giorno a rischio, con una crisi di governo, se voluta, tutt’altro che impossibile. L’obiettivo principale resta l’alt a Grillo e (anche) una doppia sberla a destra (alla Lega ecc.) e a sinistra (a Bersani&C). Dopo i ballottaggi (che però non dovrebbero né punire né premiare eccessivamente i due schieramenti principali)  Renzi, con l’imprimatur tacito di Berlusconi, potrebbe lanciare i tre squilli di tromba. Il resto viene da sé.