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Politica
Renzi tentato dalle elezioni. Pro e contro dello showdown

Di Alberto Maggi

Il tempo della politica corre. Corre inesorabilmente. E i festeggiamenti per il 40,8% alle elezioni europee di Matteo Renzi e dello stato maggiore del Pd sono ormai un lontano ricordo. Quasi sbiadito. Tanto che il premier, seppur impegnato in una missione in Asia, ha dovuto obtorto collo rituffarsi nei giochetti del Palazzo romano. Tanto che fonti vicine al presidente del Consiglio spiegano ad Affaritaliani.it che il capo del governo stia sempre più seriamente accarezzando l'idea di andare alle urne già in autunno o al massimo nella primavera del prossimo anno. Ma facciamo un po' di ordine. Renzi vuole passare allo storia come l'uomo che ha riformato il Paese e che è riuscito là dove Berlusconi ha fallito. Ma il cammino si è fatto improvvisamente in salita. In pochi giorni c'è stato prima lo schiaffo alla Camera sulla responsabilità civile dei magistrati con almeno 60 franchi tiratori democratici che hanno votato contro le indicazioni del governo. Poi è stata la volta dei 14 senatori autosospesi in solidarietà con Corradino Mineo, defenestrato dalla Commissione di Palazzo Madama chiamata a dare il primo ok alle riforme.

 

Renzi ha sempre detto che non sarebbe rimasto a Palazzo Chigi se si fosse bloccata la strada del rinnovamento e anche se si dovesse ricucire lo strappo con i dissidenti la ferita resterebbe aperta e dolorosa. Il premier ha le ali tarpate e già dipende dai voti del Ncd e degli altri centristi in Senato, meno quello di Mario Mauro ormai diretto verso il ritorno in Forza Italia, in più deve fare i conti con la minoranza del Pd che sia alla Camera sia a Palazzo Madama ha dimostrato di poter bloccare l'azione del governo. "Ma chi me lo fa fare?", avrebbe confidato il presidente del Consiglio ai suoi fedelissimi. Lasciando trapelare l'idea di mandare tutti a casa - magari incolpando Alfano e i suoi della rottura sui temi della bioetica sui quali il Ncd non potrebbe dire sì al Pd - non ricandidare i vari Mineo, Casson, Chiti, Civati e tanti altri (compreso Fassina e Bersani) e sperare di tornare in Parlamento con una maggioranza finalmente compatta. Il tempo corre e quindi il premier vuole non perdere l'onda lunga del consenso elettorale perché sa che in pochi mesi le cose possono cambiare. E il vento non sarà sempre in poppa.

Il desiderio è anche quello di dare un segnale forte dopo lo scandalo Mose, con il sindaco di Venezia che patteggia e quindi ammette le responsabilità ma che scarica le colpe proprio sul partito. Una ferita di immagine che potrebbe alla lunga costare cara. Non solo. Tornando alle riforme, se il Pd perde pezzi aumenta il potere contrattuale di ricatto di Berlusconi e Verdini. Che potrebbero imporre una riforma del Senato e della legge elettorale a loro gradita. E questo né il premier né il ministro Boschi vogliono permetterlo. Urne a ottobre o a febbraio dunque? Con il Centrodestra in frantumi e il M5S ancora steso per il ko elettorale la tentazione è tanta. Ma ci sono due fattori che frenano Renzi. Il primo è il semestre Ue che termina a dicembre. Giorgio Napolitano farebbe di tutto per non sciogliere le Camere durante la guida italiana dell'Unione e potrebbe anche arrivare alle clamorose dimissioni per impedire le urne e obbligare questo Parlamento a votare il nuovo capo dello Stato. Un rischio per il premier e un azzardo.

Poi c'è la legge elettorale. Senza l'Italicum, comunque per ora non valido per il Senato (vista la norma Alfano), il pericolo è quello di andare alle elezioni con la legge uscita dalla Corte Costituzionale, il Porcellum modificato. Di fatto un proporzionale pure. Che obbligherebbe il Pd a tentare l'impossibile, ovvero di conquistare almeno il 45-46% dei voti per avere la maggioranza in Parlamento o di stringere alleanze al centro o a sinistra con Sel-Tsipras. Ma così tornerebbe il condizionamento e il potere di ricatto dei piccoli. L'estate porterà consiglio a Renzi? La voglia di votare è tanta ma le incognite pesano...

 

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