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Politica
Salvini preoccupato da Meloni. Al via l'operazione "Fini in gonnella"

Lei lo sa, lui lo teme. Da tempo - si legge su La Stampa - Giorgia Meloni ha capito che attorno a lei si è messa in moto l'operazione "Fini in gonnella": essere lusingata in tv e da certi giornali per metterla contro Matteo Salvini. Una storia che dovrebbe ripetersi, come accadde con Gianfranco Fini che ruppe con Silvio Berlusconi con quel famoso «che fai mi cacci?». Allora era il Pdl, oggi è il centrodestra, ma la competizione per la leadership è nella natura delle cose politiche. Lui, il leader leghista, vece il pericolo. «Il rischio c'è», confida Salvini. «Leggo certe interviste sull'Avvenire (il giornale vicino ai vescovi molto critico nei confronti dell'ex ministro dell'Interno ndr) e certi giornali di sinistra che ne fanno una statista internazionale. Le lusinghe possono fare brutti scherzi, come è successo a Fini, ma qui si tratta di vincere tutti insieme come centrodestra rinnovato e allargato a esperienze civiche. Non è il momento della competizione fine a se stessa».

Salvini spera che la "sindrome Fini" non prenda Meloni ma mette in fila gli indizi di un'evoluzione, che alcuni nella Lega chiamano "involuzione", della leader di Fratelli d'Italia verso forme eccessive di competizione stimolate dal "botto" elettorale. Il partito nato dalle ceneri di An ormai, non solo nei sondaggi, ha recuperato i voti di quel partito della destra che veniva dal Msi. Se va avanti con questo ritmo di crescita, con la legislatura e il governo Conte che dura ancora qualche anno, potrebbe accadere che Fdi si avvicini al 20% in salita e la Lega alla stessa percentuale ma in discesa. Giorgia non si sente più una ruota di scorta. Tutt'altro. Certo, il candidato premier del centrodestra è il leader del partito più forte. «Noi le primarie le facciamo nelle urne», ripete come un mantra la Meloni, che però non molla di un millimetro. In Puglia e nelle Marche i candidati governatori dovranno essere sotto la sua bandiera. In Veneto, un'altra regione che va al voto, sono arrivati da poco due consiglieri regionali dell'ex area leghista di Tosi: dovrebbero portare altri consensi. In Emilia-Romagna Fdi ha fatto l'8,8%, in Calabria il 9,9%. L'obiettivo nazionale è avvicinarsi, entro l'estate, a quel 15% che aveva An nel 1996. Dentro la Lega c'è chi chiede un atteggiamento più ruvido del capo nei confronti della concorrente, che il prossimo anno a Roma vorrà decidere il nome del candidato sindaco. L'ex ministro dell'Interno però cerca di evitare lo scontro frontale con Giorgia. Vuole tenere unita la coalizione ma, avendo fatto il pieno a destra, adesso punta ai voti più moderati, quelli che finora non ha intercettato nelle grandi città.

Il problema è che anche Meloni si muove in questa direzione. A farne le spese sarebbero, se l'operazione riuscisse, Forza Italia e Italia Viva. Non è un caso che ieri Antonio Tajani abbia commentato, con una punta acida, l'idea di Salvini, lanciata nell'intervista alla Stampa, di candidati sindaci civici nelle città sul modello genovese di Marco Bucci. «Bisogna candidare sindaci vincenti, civici o di partito non ha importanza», ha tagliato corto l'esponente di Fi. Ma cosa dice la diretta interessata del paventato rischio "sindrome Fini"? «Tranquilli amici leghisti, non cado nel trappolone. Io non mi monto la testa, non commetterò lo stesso errore che ho vissuto in presa diretta. Noi donne, a differenza dei maschietti, abbiamo i piedi ben piantati per terra. Fini venne usato da una certa sinistra e non lo capì. Venne usato strumentalmente contro il "mostro Berlusconi". Ora il mostro sarebbe Salvini ma una volta fatto fuori lui, e ciò mi sembra altamente improbabile, il prossimo mostro sarei io. Detto questo però ognuno a casa sua. Io i piedi in testa non me li faccio mettere da nessuno»

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