Politica
Tommaso Foti, il ministro gentile con in mano il futuro del Pnrr
Nel partito di Giorgia Meloni, Foti sembra avere trovato la sua collocazione naturale

Tommaso Foti
Tommaso Foti, il ministro gentile con in mano il futuro del Pnrr
Chi lo conosce bene dice di lui che è un uomo gentile, timido e riservato, ma molto determinato, da buon ex dirigente d’azienda, a portare a casa risultati concreti. Tommaso Foti, classe 1960, di Piacenza, terra a cui è legatissimo, da quasi un anno è il nuovo ministro per gli affari europei e la coesione.
Un ruolo delicato che lui sta portando avanti con la tipica determinazione delle persone della bassa provincia padana. Dopo una esperienza di dirigente d’azienda, come detto, nel settore agro alimentare (in una delle più importanti aziende mondiali del settore beverage, è stato District Manager fino al 1996 quando, eletto deputato al Parlamento, chiede di essere collocato in aspettativa), Foti ha dedicato anima e corpo all'attività politica, sua vera ragione di vita, ricoprendo diversi incarichi sia a livello locale che nazionale.
Dopo una lunga militanza nelle file del Msi prima e di Alleanza nazionale poi, ha convintamente aderito alla formazione di Fratelli d’Italia nel dicembre 2012, in aperto dissenso con il Pdl per l’appoggio al governo Monti. E nel partito di Giorgia Meloni, Foti sembra avere trovato la sua collocazione naturale, avendo instaurato da subito con la leader del partito, un rapporto solido e basato sulla reciproca stima.
Ed è per questo motivo che dopo un travaglio durato qualche settimana, la premier per il ministero degli affari europei, che ha la importantissima delega al Pnrr, ha pensato a lui, che senza remore ha risposto presente. Qualcuno non solo tra le opposizioni, ma anche nella maggioranza, allora manifestò qualche riserva per la scelta di questo sessantacinquenne piacentino, sia perché non aveva ancora ricoperto nessun incarico di peso a livello nazionale e sia perché il suo profilo non pareva attagliarsi alla perfezione ad un compito così gravoso.
La sfida era di quelle probanti che fanno tremare i polsi e che possono anche rovinare una carriera. Ma lui interpellato dopo la nomina ebbe a dire “il lavoro è tanto, ma chi mi conosce sa che non mi fermo davanti alle sfide, neppure a quelle impossibili”.
Due giorni fa la commissione europea ha erogato la settima rata del Pnrr, cosa tutt’altro che scontata (la Spagna, per citare un esempio a noi più vicino come entità dei finanziamenti, è ferma alla quinta rata, che non ha preso nemmeno per intero, a causa di ritardi nella digitalizzazione della pubblica amministrazione).
Il merito va ascritto certamente al grande lavoro portato avanti e preparatogli dall’ex ministro degli affari europei Raffaele Fitto, ora vicepresidente esecutivo della Ue, la cui pesante eredità è stata appunto presa in carico da Foti. Il nuovo ministro molto saggiamente e bittandosi subito a capofitto sul suo nuovo incarico (ha ritmi di lavoro serratissimi, dicono i suoi più stretti collaboratori) ha scelto di non cambiare l’approccio seguito dal suo predecessore.
Il suo lavoro premia la scelta non facile che fece la premier lo scorso anno. Molti ricorderanno, infatti, le incertezze del governo, quando si trattò di nominare il candidato italiano, alla nuova commissione europea. Tutto portava ad unico candidato forte, appunto Fitto. Ma i dubbi della premier erano appunto legati alla difficolta nel reperire un degno sostituto su un dossier così delicato come quello del Pnrr.
Meloni prima accarezzò l’idea di tenere per sé, a Palazzo Chigi, le deleghe di Fitto, magari affidandole ad uno dei due sottosegretari alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, che immediatamente declinò l’offerta, o Giovanbattista Fazzolari, i cui innumerevoli impegni gli impedivano però di poter assumersi un compito così gravoso.
Alla fine, anche su consiglio dello stesso Fitto e della ristrettissima cerchia di fidatissimi collaboratori della premier, si è scelto di nominare ministro il capogruppo alla Camera, Tommaso Foti.
“Tommaso in quei giorni era molto tormentato - racconta un deputato di Fdi a lui molto vicino - sapeva che questo incarico così delicato poteva, in caso di fallimento, metterlo in una posizione scomoda all’interno del partito. Ma ha obbedito con grande spirito di squadra e per un debito di riconoscenza che sente verso la Meloni e verso il partito”.
Ebbene dopo un solo anno, e il pagamento della settima rata da 18,3 miliardi di euro (portando il totale di finanziamenti ricevuti a 140 miliardi) si può dire a buona ragione che la scelta operata dalla premier era giusta e che ancora una volta la missione sia stata portata a compimento. Anche se, come ha anche detto il ministro, il lavoro non si può certamente dire completato. Sulla scorta della via maestra intrapresa dall’ex ministro Fitto, infatti, ora il Governo è al lavoro per una nuova revisione del Pnrr.
"Stiamo lavorando per una rimodulazione del Pnrr che ottimizzi le risorse e consenta un utilizzo da parte di tutti i destinatari non teorico, ma pratico. Per le imprese, il nostro obiettivo è quello di accelerare sull'innovazione, sulla competitività e sulle competenze. Su queste tre leve si baserà la revisione, anche per consentire di aprire ai mercati che hanno la possibilità di ripagarci, con gli interessi, il prezzo dei dazi americani".
Ha detto il ministro in una recente intervista al Sole 24 Ore. Alcuni sostengono che il lavoro di Foti è stato agevolato da quello fatto dal suo predecessore, ma sarebbe un errore sminuire quelli che sono stati i meriti di un ministro dai modi gentili, ma che ha nel suo DNA, pragmatismo, concretezza, e la ricerca manicale del risultato. A lui secondo fonti autorevoli, si deve anche la decisione del governo di allargare la Zes unica, altra misura di successo varata dall’ex ministro Fitto, ad Umbria e Marche, mentre si ragiona anche su una sua ulteriore estensione al basso Lazio.
Qualcuno in questi giorni ha ricordato il suo intervento alla Camera, in occasione del voto di fiducia al governo Meloni, ad ottobre del 2022, che fece come vicecapogruppo alla camera di Fdi (Lollobrigida capogruppo era seduto sui banchi del governo, appena nominato ministro dell’agricoltura).
“E’ un giorno storico perché viene dimostrato che anche una ragazza della Garbatella può arrivare a Palazzo Chigi, con la destra – disse allora il deputato piacentino – ed è un giorno storico perché questa alleanza è di destra-centro come hanno deciso gli elettori. La nostra coalizione non è un cartello elettorale, dal 1994 ha sempre avuto un obiettivo comune. Siamo certi che il suo percorso non sarà facile – ha aggiunto Foti – ma la convinzione e l’orgoglio di chi capisce che quella che abbiamo davanti è una sfida epocale. Attenzione non ci sono scorciatoie o furbizie: ci sediamo su quei banchi nel momento peggiore, ma onoreremo quei banchi, facendo le misure necessarie a far ripartire il Paese”.
Un discorso che piacque molto alla premier, proprio per la sua capacità di andare dritto al punto e di esprimere bene il concetto, tanto caro a Meloni, di essere di fronte ad uno di quei crocevia della storia, in cui è vietato triarsi indietro e fallire.
Ora, da ministro, Foti raccoglie tanti anni di onesto lavoro nelle retrovie della politica nazionale, sempre in silenzio senza mai suscitare polemiche sterili, con quei modi gentili che lo contraddistinguono, ma allo stesso tempo senza mai triarsi indietro come è nella tempra degli uomini che vengono dalle sue parti, la provincia italiana dove accanto a patria, Dio e famiglia, c’è posto sempre anche per il duro lavoro.