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Politica
Dalla Buvette al Cortile d'onore, Montecitorio ai tempi del Covid
(fonte Lapresse)

Il Cortile d’onore è uno dei pochi luoghi che ancora conserva un aspetto di normalità. La sua grande fontana al centro, con l’acqua che continua a sgorgare, dà quasi l’idea che nulla sia cambiato. E, in effetti, da quando è scoppiata l’emergenza Covid-19 e anche la Camera dei deputati è corsa ai ripari rimodulando spazi e accessi, l’area all’aperto antistante il Transatlantico è rimasta l’unica in cui parlamentari e giornalisti si soffermano, scambiano qualche chiacchiera, seppure rigorosamente a distanza e con indosso le mascherine. Pure qui, alla fine, però, la mestizia ha il sopravvento. Dispositivi di sicurezza a parte, ci pensano i cartelli affissi sulle sei panchine del cortile, con tanto di raccomandazione a mantenere le distanze se vi si staziona, a riportare tutti, in un batter d’ali, alla cruda realtà. Persino nel fumoir, che i frequentatori di Montecitorio conoscono come una saletta avvolta dalle nebbie, dove nei tempi d’oro pre-Covid era difficile trovare un posto a sedere sui divanetti rossi, adesso si respira aria pulita.

Ma la misura che continua ad essere di maggiore impatto e che da quando è diventata operativa nella scorsa primavera ha fatto più discutere rimane la trasformazione del Transatlantico in una propaggine dell’Aula. Lo storico corridoio dei passi perduti, quel tappeto rosso da sempre calcato da parlamentari e giornalisti, i suoi divanetti in pelle verde che hanno accompagnato negli anni pause dei lavori d’Aula, ospitato conciliaboli, visto fiorire accordi e maturare crisi, sono ormai off limits. L’intera galleria antistante l’emiciclo è, infatti, stata attrezzata con postazioni per i parlamentari, pulsanti per le votazioni e maxischermo per seguire i lavori nell’emiciclo. Decisione presa dai questori e dalla Giunta del regolamento della Camera per garantire il distanziamento tra i 630 deputati. Un distanziamento che le sole tribune non erano sufficienti a garantire. Per quanto tempo? Non è dato sapere. Dipende dal corso dell’epidemia.

E che dire della sala stampa, sempre affollata di cronisti? Complice anche lo smart working, le postazioni rimangono per lo più vuote. “Nei mesi caldi dell'emergenza i giornalisti habitué erano sì e no quattro o cinque”, ricorda un collega che è stato tra i più presenti. Inizialmente, l’accesso era consentito solo ai cronisti dell’Associazione stampa parlamentare, poi con il sopraggiungere dell’estate le maglie sono state allargate anche ai non Asp. Prima 15 giornalisti, poi 20 ed ora 25: questo è il numero massimo consentito per vincere la lotteria degli accrediti giornalieri. Misure precauzionali pure qui. Il must è ovunque, infatti, mantenere le distanze. E così gli storici locali della sala stampa al piano terra di Montecitorio, con i loro soffitti altissimi, sembrano ancora più grandi. Se non fosse per le finestre lasciate aperte per consentire un maggiore ricambio d’aria si potrebbe sentire addirittura l’eco. Giocoforza, visti gli spazi esigui, invece, la sala troupe è chiusa da mesi. I cineoperatori, dunque, stazionano in piazza con telecamere e microfoni. E’ la Camera ai tempi del coronoravirus, bellezza.

Accessi contingentanti anche per gli ospiti dei parlamentari, autocertificazioni da firmare all’ingresso e misurazione della temperatura corporea: è così che ti accoglie la cittadella di Montecitorio. Persino gli ingressi al Palazzo si sono ridotti. Quello riservato ai giornalisti, a via della Missione, ad esempio, è chiuso. E una volta dentro le mura dello storico palazzo romano commissionato all’architetto Gian Lorenzo Bernini da papa Innocenzo X, è tutto un monito al rispetto delle regole che il Parlamento si è dato. Per accedere alla toilette, l’invito è a sanificare le mani, usando il dispenser con soluzioni idroalcoliche posto davanti all’entrata. Un altro cartello appeso accanto al piccolo ascensore del piano terra ricorda che può essere preso da una sola persona per volta. Regole rigide anche al bar dei dipendenti. Qui guai a sbagliare ingresso: “Dove va - ci si sente subito riprendere dai camerieri protetti da mascherine e schermi in plexiglass -, non vede che sta entrando dall’uscita?”. E, infatti, basta guardare a terra per vedere che il percorso è obbligato, proprio per evitare incontri troppo ravvicinati. Per non sbagliare è sufficiente seguire le frecce rosse direzionali, un po’ come Pollicino alle prese con le briciole di pane, ed è fatta. E le consumazioni all’interno del locale? Pure per i clienti ci sono divisori in plastica al banco. E si può consumare inoltre ai quattro tavoli centrali. Su tutti gli altri, invece, campeggia un segnale di divieto.

Nella cittadella di Montecitorio, in effetti, la ristorazione è limitata. La Buvette è chiusa ormai da mesi. Anche perché il suo unico accesso sarebbe dal Transatlantico, ma la storica galleria - così chiamata perché gli arredi ricordano quelli delle navi transoceaniche -, è appunto occupata dalle postazioni dei parlamentari. Oltre al bar dei dipendenti, dunque, c’è solo il ristorante al piano Aula di Montecitorio. Aperto solo a pranzo, però. E con la possibilità dell’asporto per i parlamentari. Fallito, invece, il tentativo di lasciare in funzione il servizio mensa di sera. Sarebbe dovuto partire lo scorso 27 ottobre. Era tutto pronto, i parlamentari avvisati tramite sms, ma poi un blitz in Aula di Fratelli d’Italia, che puntava l’indice contro la “discriminazione rispetto a tutti i ristoratori italiani”, ha fatto ingranare la retromarcia. Il presidente della Camera Roberto Fico, appena appresa la notizia del prolungamento serale del servizio, infatti, d’accordo con i questori, ne ha disposto la chiusura. Con buona pace di quei parlamentari buongustai o presi dai morsi della fame quando calano le tenebre. In effetti, il problema del calo degli zuccheri si sente tra i banchi. Come non ricordare l’incursione in commissione Bilancio della deputata M5s Marialuisa Faro, durante l’esame degli emendamenti al decreto Rilancio a giugno scorso? La parlamentare, nello stupore generale degli altri commissari, intervenne sull’ordine dei lavori per denunciare che il servizio di ristorazione non era stato garantito quel giorno e chiedere che la questione venisse affrontata in vista delle future giornate di lavoro nei giorni festivi.

In generale, comunque, a Palazzo si respira un’aria dimessa. Il vociare e l’affollamento delle grandi occasioni o anche semplicemente delle giornate segnate in rosso per voti insidiosi sono un lontano ricordo. Alla tabaccheria non c’è più il solito via vai di fumatori o di golosi che si fermano per acquistare snack e caramelle. E comunque sia, pure qui si accede uno per volta. Un po’ come alla storica barberia della Camera. In funzione sì, ma con un regolamento rigido. Che ricalca le disposizioni decise sul piano nazionale per la categoria dei parrucchieri. Un cartello all’ingresso ricorda le misure di prevenzione e protezione per i frequentatori, dall’uso obbligatorio della mascherina, ça va sans dire, alla raccomandazione di sanificare spesso le mani, fino al deposito degli oggetti personali in sacchetti monouso.

Tutto, insomma, è contingentato. I commessi vigilano sul rispetto delle regole, le sanificazioni si ripetono nell’arco della giornata, dagli ascensori all’Aula. Ma pure nelle commissioni. Da pochi giorni sono state aggiornate dai questori della Camera, infatti, le raccomandazioni sulla durata delle sedute dell’emiciclo e delle riunioni in Commissione. Dopo tre ore di lavori continuati deve seguire una pausa, rispettivamente di un’ora e mezza e di un’ora, per consentire l’igienizzazione degli ambienti e il ricambio d’aria. Il resto lo fanno i tamponi molecolari e test rapidi rivolti a chi lavora in maniera stabile a Montecitorio e gli screening del lunedì e martedì per i deputati di rientro dai rispettivi collegi, attraverso test rapidi e risultati in 15 minuti.  

Ne è passata, in effetti, di acqua sotto i ponti alla Camera rispetto al 24 febbraio scorso, quando la deputata Maria Teresa Baldini, allora ancora di Fratelli d’Italia e oggi tra le fila azzurre, entrò per prima in Aula con indosso la mascherina, provocando lo stupore e l’allarmismo generale. O rispetto al 26 febbraio, quando a seguirla a ruota fu un altro parlamentare, sempre di Forza Italia, Matteo Dall’Osso. Due mosche bianche per quei tempi, c’è da registrare. Ora la soglia d’attenzione e precauzione è molto alta nel Palazzo e si è innalzata ancora di più in queste ultime settimane contro la diffusione dei contagi dai quali, ovviamente, Montecitorio non è immune. Il 5 novembre scorso, i positivi erano in tutto 12, più otto in quarantena. Ma la Camera ha conosciuto anche soglie più alte nei giorni addietro. Il 27 ottobre, ad esempio, erano 20 i deputati positivi e una ottantina quelli in quarantena fiduciaria.

Ecco perché, sembra quasi che chiunque frequenti Montecitorio, oltre la mascherina, indossi una pesante corazza fatta di cautela mista a circospezione. La paura del virus, infatti, si fa sentire dentro le mura dell’imponente edificio. Per cui la Camera vive quasi sottocoperta. Con un’unica volontà granitica che unisce il presidente Roberto Fico e tutti e 630 i deputati: i lavori non possono e non devono fermarsi. The show must go on, insomma. Nella speranza che sul tabellone luminoso dell’emiciclo non appia mai la scritta “la seduta è sospesa”…

 

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