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Le piccole squadre in Serie A mentre le grandi falliscono
di Yuri Serafini
Campionato di calcio di serie A, 2015-2016: il Carpi e il Frosinone disputeranno il loro primo campionato nella massima serie. L’ascesa del Carpi porta a quota tre le squadre in Serie A che non appartengono ad un capoluogo di provincia (le altre due sono Sassuolo ed Empoli). Aggiungendo il Frosinone, squadra di una città che pur essendo capoluogo ha solo due-terzi degli abitanti della stessa cittadina di Carpi, la categoria “Piccole Città in Serie A” si popola di ben quattro squadre.
Questo fenomeno ci porta ai problemi finanziari che nell’ultimo quinquennio hanno perseguitato la squadre di medio livello. Nel 2010 è fallito il Perugia, nel 2012 son fallite Triestina e Piacenza. Nel 2014 fallisce il Padova assieme al Bari e al Siena.
Da aggiungere a questa triste classifica, il fallimento nel 2015 di una squadra “medio-alta”: il Parma, che seppur non sia considerata una delle “Sette Sorelle” della Serie A, è una squadra il cui fallimento pesa sulla storia del calcio italiano come fu quello della Fiorentina nel 2001 e del Napoli nel 2004 (i primi segnali che c’era qualcosa che non andava nella gestione delle squadre di calcio italiane).
L’instabilità finanziaria delle squadre italiane è un fattore che non solo allontana gli spettatori dal calcio, ma influisce sull’abilità di sviluppare talenti ed offrire ai giovani che non abitano in grandi città l’opportunità di mettersi in mostra. Ricordiamo infatti campioni come Alessandro Del Piero, cresciuto nelle giovanili del Padova; Marco Materazzi, Christian Lucarelli e Gennaro Gattuso, tutti cresciuti nel Perugia; Gianluigi Buffon e Fabio Cannavaro, passati alla Juventus dopo aver vinto la coppa UEFA con il Parma. Anche Antonio Cassano, gioiello del Bari prima di passare alla Roma, è tra i tanti giocatori maturati nelle “medie” squadre.
Nel libro Soccernomics, il giornalista inglese Simon Kuper e l’economista Stefan Szymanski si lamentano della mancanza di solida gestione aziendale nella maggioranza delle squadre di calcio italiane, dove persistono, tra tanti altri problemi, pessimi rapporti con la stampa (tanto, interesse c’è sempre, non serve generarlo), “giochetti” con il bilancio aziendale ed incomprensione delle tattiche del marketing (gli stadi si riempiono solo se si presentano come un’alternativa migliore ad altre tipologie di intrattenimento, a prescindere dalla fedeltà dei tifosi).
Ed infine le banche non offrono liquidità alle piccole-medie imprese, come sono pure le piccole-medie squadre.
La Juventus si è “modernizzata” quasi forzosamente per tornare ai vertici del calcio italiano dopo le penalizzazioni post-Calciopoli, ma il Milan e l’Inter hanno concluso la stagione al decimo ed ottavo posto rispettivamente, appesantite da bilanci in rosso che difficilmente saneranno a breve. Questa deludente stagione è il culmine di un lungo declino per le società milanesi, giá in fase avanzata durante la stagione 2011-2012, quando entrò in vigore il Financial Fair Play, ovvero il regolamento UEFA che obbliga le società a tenere i loro conti in ordine.
Pertanto sono le squadre con gestioni più responsabilizzate a mettersi in mostra in questa stagione, come la Roma, che beneficia della nuova struttura aziendale, e Lazio, che ha dimostrato di aver imparato come si fa a vivere con parsimonia al punto che i tifosi hanno soprannominato il patron “Lo Tirchio” (peró il terzo posto guadagnato nell’ultimo anno daranno poco da rimpiangere). A queste si aggiunge la Fiorentina, da anni in crescita nonostante le sue risorse limitate, ed il Napoli, gestita con criteri non del tutto “limpidi” (una delle regioni per cui ha scelto di andarsene il tecnico spagnolo Rafael Benitez, abituato ad altre realtà), dove il proprietario De Laurentis si è finalmente reso conto che non può continuare a sganciare miliardi.
Guardando la Serie B, la situazione si rivela altrettanto punitiva per le “Mini-Big”. Il Brescia è retrocesso. Catania, Bari, e Livorno, che fino a pochi anni fa militavano nella Serie A, hanno concluso la stagione in anonimità a metà classifica del campionato.
A parte il sorprendente Vicenza, che ha una situazione finanziaria poco rosea, la classifica di Serie B ha premiato quelle squadre che hanno saputo gestire bene le risorse a loro disposizione (o, come per il Bologna, hanno nuove proprietà impegnate a ripartire con progetti “all’anglosassone”).
É chiaro che non si puó piú andare avanti a forza di fallimenti e con squadre di piccole cittá che rimpiazzano i “giganti”. È giusto che sul campo vengano premiati i piú bravi, ma è anche logico aspettarsi che le città più grandi, ovvero i “mercati” più lucrativi, abbiano le squadre di più alto livello (si teme che le piccole squadre possano compromettere le sponsorizzazioni e l’interesse globale per il campionato, oltre che la vendita dei diritti televisivi).
Il problema delle grandi società in difficoltà che lasciano spazio alle piccole realtà per salire di categoria, è un dilemma del calcio italiano che l’Italia non vuole ancora affrontare.