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Toscana
Babal, il cortometraggio di Theodora Pampaloni dedicato a Leone e Filippo

Tutti toscani i luoghi del set, patrocinato dal Comune di San Casciano: Torre del Chianti, Villa Le Corti, Mucciana, il Teatro Niccolini di San Casciano, tipico spazio all'italiana inaugurato nel 1850 su progetto di Antonio Sodi, Monte Serra, Prato e l'antica manifattura d'argenti Pampaloni in via del Gelsomino a Firenze.

"L’ amore per il cinema è nato a mezzanotte, quando tutta la mia famiglia ronfava sui divani e un altro film stava iniziando. Temevo il momento in cui qualcuno si sarebbe svegliato e guardando l’ora s’affrettava a svegliare tutti per poi tornare a dormire. Potevo resistere notti intere con i film. Infatti mi pare che si dica che è proprio dalle proibizioni che nascono le grandi passioni; alla scuola Waldorf era proibito guardare la televisione, non conosco nessun programma o cartone animato della mia generazione. Dopo la mezzanotte di solito va in onda il brutto, il sesso o il crimine."  Con queste parole la giovane regista fiorentina Theodora Pampaloni introduce al pubblico del ReGeneration festival la sua passione per l’arte cinematografica che ha trovato una sua espressione nel primo corto presentato in occasione del festival musicale organizzato nel capoluogo toscano, dal 26 al 29 agosto, tra il giardino di Boboli, palazzo Corsini al Prato, Manifattura Tabacchi. Quattro giorni di riprese fra luglio e agosto 2020 sono bastati per girare Babal, con mezzi tecnologici quali il drone manovrato dallo staff di INK videos, molte scene girate da Pampaloni con la sua videocamera Blackmagic 4K, più alcuni vecchi spezzoni realizzati a suo tempo da Costantino Viti: "Babal" è un visionario apologo sul nostro tempo fra volti mascherati, violenze implicite ed esplicite, suggestioni alla Greenaway e remote speranze di una catarsi minacciata dalla paura dilagante.

Tutti toscani i luoghi del set, patrocinato dal Comune di San Casciano: Torre del Chianti, Villa Le Corti, Mucciana, il Teatro Niccolini di San Casciano, tipico spazio all'italiana inaugurato nel 1850 su progetto di Antonio Sodi, Monte Serra, Prato e l'antica manifattura d'argenti Pampaloni in via del Gelsomino a Firenze. Una lavorazione fortemente collettiva quella di "Babal", Babele in esperanto, lingua simbolo di una utopia che voleva l'uomo eguale ma salvo nelle proprie diversità di gruppo e di individuo. Teodora Pampaloni nasce a Firenze nel 1995. Un amore precoce e risoluto per il cinema ne indirizza presto la formazione. Che trova nella viva attenzione per gli studi antropologici - da Flaherty a Murnau, da Ivens a Rouch connubio storicamente fecondo nella genealogia nobile del documentario - il suo speculare compendio. Ad unire queste metà del cielo della studiosa e regista fiorentina, un terzo, a dir poco organico, elemento: lo svolgersi della sua formazione per le strade di quel mondo che Pampaloni intende a suo modo interrogare e narrare. A partire dal liceo, iniziato al Poggio Imperiale e all'artistico di Porta Romana e concluso a Moate, Irlanda. Seguono, nel 2015, 8 mesi all'Università di Città del Capo, dove consegue un bachelor in Scienze sociali, cui Pampaloni accosta un triennio con bachelor finale in Antropologia sociale alla School of Oriental and African Studies di Londra.

Nell'ottobre 2019 l'iscrizione al master In cinema documentario dell'Università di Tel Aviv, che al momento sta seguendo in rete e la cui fine è prevista nel gennaio 2021. Nella prima parte dell'esperienza israeliana, Teodora ha realizzato la sua opera prima: un documentario sulla comunità ortodossa di Haifa. "Son stata aiutata da tanti amici - racconta Theodora - la cifra che ha più segnato questo lavoro. Non a caso l'ho dedicato a due di noi che non ci sono più, Leone Soso e Filippo Corsini". Anche il nome, universalmente noto, di Michael Nyman è entrato nel gruppo dei collaboratori per via d'affetto. "Sono esplosa dalla gioia e dallo stupore quando Nyman, il mio compositore del cuore che ascolto da quando avevo 6 anni, ha risposto alla mia lettera concedendomi gratuitamente i diritti per le sue musiche che volevo nella colonna sonora". Meno noto ma già molto stimato nell'ambito della contemporanea, anche il compositore toscano Andrea Portera, allievo di Sciarrino e Manzoni, si è aggiunto alla brigata grazie alle sue indubbie capacità, così come ad un sentimento d'amicizia: "Andrea è molto bravo, è stato mio padre Gianfranco a suggerirmi di utilizzare le sue musiche. Amo e stimo mio padre che del film è stato tanto produttore quanto fattorino e factotum, riprova evidente delle sue grandi qualità".

Poi continua: “il mio primo amore per il cinema non nasce da questi impalpabili flussi di rappresentazione ed espressione che sono soggetti al relativismo dei tempi storici, delle tecniche e dell’opinione umana. Il cinema, come la vita, appartiene all’ignoto divino che è la sua matrice: la pellicola. L'uomo che è alla costante ricerca del “perché”, come l'iperbole non arriva mai ad incontrarsi con la risposta. Questo è il quesito umano che ci eleva verso il divino che mai raggiungiamo. Ripeto, per me prima del fascino dell'espressione cinematografica sta la sua stessa matrice, la pellicola cinematografica. L’incredibile capacità di rendere immortale il tempo. Blade Runner, a mio avviso Il piu commovente dei film di fantascienza mai girato, conclude come vorrei concludessi anche io: 'All those moments will be lost in time like tears in rain' ".

"L’idea di Babal nasce durante la quarantena, quando sono tornata (a casa, a Mucciana) da Tel Aviv dove vivevo e studiavo Documentary Cinema. Tutto è iniziato da uno scambio di idee con mio padre. Quando studiavo antropologia a Londra mi appassionai di un concetto: liminality. Ovvero quel momento di transizione da uno stato all’altro che in tutte le culture del mondo viene celebrato, dunque riconosciuto socialmente come momento di cambiamento. La morte accade naturalmente e l’uomo ha la necessità di creare un evento che la renda tale, cosi il matrimonio, il bar mitzvah, la laurea, il compleanno, eccetera. Dal punto di vista collettivo liminality puo essere un movimento sociale, una rivoluzione, una pandemia. Dunque contattai Bjorn Thomassen, autore di un libro che tratta il concetto di liminality nell’era della globalizzazione. Insomma, ora sto divagando, ma il mio punto fisso per assurdo è quella promisquità della transizione. Babal nasce dall’idea di un momento storico in cui l’umanità frenetica, globalizzata, deterritorializzata e conflittuale, si ferma.

Come “homo homini lupus”, arriva il Leviatano di natura non umana, ci ammutolisce e riunisce in una dimensione identica per tutti: la quarantena. Sembrava che i cannoni si fossero spenti, nessuna guerra, nessun fronte attaccato, ma solo la comune difesa da un male sconosciuto. I volti fasciati dalle mascherine evocavano silenzio, sgomento, diffidenza e solidarietà (un ossimoro!). Così tornando alla mia passione per Pasolini che usa il mito come riflesso sociale, ho pensato alla torre di Babele. Come scritto nella genesi, l’umanità parlava una sola lingua e sotto al re Nimrod costruirono una torre talmente alta che potesse raggiungere Dio. La pretesa dell’uomo di raggiungere il divino fu punita dando agli uomini piu lingue cosi che non si comprendessero. La torre cadde e gli umani si sparsero sulla terra dando vita alle culture del mondo. La parola è l'uomo, la parola è comprensione e spesso confusione. L’etimologia ci riconduce all’origine e Balagan, parola usata frequentemente a Tel Aviv per definire la vita frenetica della metropoli, ha origine etimologica in Babel: caos, confusione".

"Il film è in esperanto, una lingua nata per divenire ecumenica, dunque per tornare in una Babele che cresce e si eleva dai conflitti territoriali, di possesso e potere, come l'iperbole in un costante divenire verso il divino. Il corto è suddiviso in cinque fasi di un sogno: il paradiso perduto in cui l'umanità è divisa dalla parola, la pandemia, il periodo della quarantena in un luogo immaginario in cui stereotipi umani convivono senza parlare; poi tornano a parlare e litigare; l'ultima fase è l'elevazione degli stessi che avviene attraverso la musica (linguaggio universale) che li porta sulla cima della torre. “When words fail, music speaks” ha detto Hans Christian Andersen".

BABAL Filmato ai tempi della Pandemia

Director: Teodora Pampaloni, Composer: Andrea Portera, Soundtrack: Michael Nyman, Costume Designer: Zara Boatto, Featuring: Menura Vocal Ensemble, Martina Ferragamo

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